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dell'impero romano cap. xxiii 305

sistema, con cui Giuliano si propose d’ottenere gli effetti della persecuzione, senza incorrerne la colpa, o la taccia. Ma se un mortale spirito di fanatismo pervertì il cuore e la mente d’un Principe virtuoso, bisogna nel tempo stesso confessare, che i patimenti reali dei Cristiani furono promossi ed accresciuti dalle passioni umane e dal religioso entusiasmo. La mansuetudine e rassegnazione, che avea distinto i primi discepoli del Vangelo, era l’oggetto dell’applauso piuttosto che dell’imitazione dei loro successori. I Cristiani, che a quel tempo aveano posseduto più di quarant’anni il governo civile ed ecclesiastico dell’Impero, avevano contratto gli insolenti vizi della prosperità1 e l’abito di credere, che i soli Santi avessero diritto di regnare sopra la terra. Appena l’inimicizia di Giuliano spogliò il Clero dei privilegi, che gli erano stati conceduti dal favore di Costantino, si lamentarono della più crudele oppressione; e la libera tolleranza degl’Idolatri e degli Eretici fu un motivo di dolore e di scandalo per la parte ortodossa2. Gli atti di violenza, che non erano più favoriti dai Magistrati, si commettevan sempre dallo zelo del popolo. A Pessino, fu rovesciato quasi in presenza dell’Imperatore l’altare di Cibele; e nella città di Cesarea nella Cappadocia fu distrutto il tempio della Fortuna, che era l’unico luogo di culto lasciato ai Pagani. In tali occasioni un Principe, che aveva a cuore l’onor degli Dei, non era disposto ad interrompere il corso della

  1. Vedi la bella confessione di Gregorio, Orat. III. pag. 61-62.
  2. Si oda il furioso ed assurdo lamento d’Ottato. De schism. Donat. l. II c. 16. 17.