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dell'impero romano cap xvi. 41

me troppo ripugnanti all’equità del suo governo; ed affinchè si abbiano per convinti coloro, a’ quali viene imputato il delitto di professare il Cristianesimo, rigorosamente richiede la positiva testimonianza di un onesto ed aperto accusatore. Egli è probabile ancora, che quelli che assumevano un uffizio sì odioso, fossero obbligati a dichiarare i fondamenti de’ loro sospetti, a individuare, tanto rispetto al tempo quanto al luogo, le segrete assemblee, che avevan frequentato i Cristiani loro avversari, ed a scuoprire un gran numero di circostanze, che si nascondevano con la gelosia più vigilante agli occhi profani. Se riuscivano in tal impresa, si esponevano allo sdegno di un attivo e considerabil partito, alla censura della porzione più culta dell’uman genere, ed all’ignominia, che in ogni tempo e paese ha sempre accompagnato il carattere di un accusatore. Se mancavano per l’opposto nelle lor prove, incorrevano la severa, e forse capital pena, che secondo una legge dell’Imperatore Adriano, infliggevasi a quelli, che falsamente attribuivano a’ loro concittadini il delitto di Cristianesimo. Potea qualche volta la violenza di una superstiziosa o personale animosità prevalere alle più naturali apprensioni della disgrazia e del pericolo; ma non si può senza dubbio supporre, che accuse di un’apparenza così infelice fossero leggermente o con frequenza intraprese da’ sudditi pagani del Romano Impero1.

  1. Eusebio (Hist. Eccles. l. IV. c. 9) ci ha conservato l’editto di Adriano. Egli ce ne dà parimente uno (c. 13) ancora più favorevole sotto nome di Antonino, del quale però non s’ammette così universalmente l’autenticità. La seconda Apologia di Giustino contiene alcune curiose circostanze relative alle accuse de’ Cristiani.