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dell'impero romano cap xvi. 21

vasi da ogni parte, che appresso molti di quelli che si attribuivano il nome di Cristiani, prevaleva la più scandalosa licenza di costumi. Un Magistrato Pagano, che non aveva nè tempo nè capacità per discernere la linea quasi impercettibile, che distingue la fede ortodossa dall’eretica pravità, poteva facilmente supporre, che l’animosità, che regnava fra loro, avesse tolta ad essi di bocca la confessione de’ lor comuni delitti. Fu fortuna pel riposo, o almeno per la riputazione de’ primi Cristiani, che i Magistrati alle volte procedessero con maggior freddezza, e moderazione di quella che per ordinario accompagna lo zelo religioso, e ch’essi riferissero, come resultato imparziale delle lor giudiciali ricerche, che i settarj, i quali abbandonato avevano il culto dominante, sembravan sinceri nelle lor professioni, ed irreprensibili ne’ lor costumi, per quanto potessero incorrere la censura delle Leggi1, attesa l’assurda ed eccessiva loro superstizione.

L’istoria, che intraprende a rammentare i fatti de’ passati secoli per istruzione de’ futuri, male meriterebbe tal onorevole uffizio, qualora condiscendesse a difender la causa de’ tiranni, o a giustificar le massime della persecuzione. Bisogna però confessare, che la

    rale della Chiesa, ch’egli aveva sì fortemente difesa. Sed majoris est agape, quia per hanc adolescentes tui cum sororibus dormiunt, appendices scilicet gulae lascivia et luxuria: de Jejun. c. 17. Il canone 35 del Concilio d’Elvira provvede agli scandali, che troppo spesso macchiavan quelli, che facevan le vigilie nelle Chiese, e screditavano il nome Cristiano agli occhi degl’Infedeli.

  1. Tertulliano (Apolog. c. 2.) si diffonde a gran ragione, e con un poco di stile declamatorio sulla bella ed onorevol testimonianza di Plinio.