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dell'impero romano cap. xiv. 215

le truppe di Massenzio, disordinate ed inseguite da un implacabil nemico, traboccarono a migliaia ne’ profondi e rapidi gorghi del Tevere. L’Imperatore stesso tentò di rientrare fuggendo nella città per mezzo del ponte Milvio; ma la folla che si trovò insieme a quello stretto passo, lo fece balzare nel fiume, dov’egli fu immediatamente sommerso dal peso delle sue armi1. Il corpo di lui, essendosi affondato molto nel fango, fu ritrovato con qualche difficoltà il giorno seguente. Restò il popolo convinto della propria liberazione quando vide il capo di lui esposto avanti a’ propri occhi; e allora fu, che non dubitò di ricevere con acclamazioni di fedeltà e di gratitudine il fortunato Costantino, che in tal modo condusse a termine col suo valore e colla sua abilità la più splendida impresa della sua vita2. Nel far uso della vittoria non meritò Costantino la lode di clemente, nè incorse le censura di smoderato

    rata venia locum, quem pugnae sumpserant, texere corporibus. Paneg. Vet. IX. 17.

  1. Ben tosto promulgossi un rumore assai vano, che Massenzio, il quale non avea presa precauzione veruna per la sua ritirata, avesse teso un artificiosissimo laccio per distrugger l’armata di chi l’inseguiva; ma che il ponte di legno, che dovea sciogliersi all’arrivo di Costantino, disgraziatamente si ruppe sotto il peso de’ fuggitivi Italiani. Tillemont (Hist. des Empereurs T. IV. Part. I. 657) esamina molto seriamente, se la testimonianza di Eusebio, e di Zosimo contro il senso comune debba prevalere al silenzio di Lattanzio, di Nazario, e dell’Anonimo contemporaneo, che compose il nono Panegirico.
  2. Zosimo (l. II, p. 86, 88), ed i due Panegirici, il primo de’ quali fu recitato pochi mesi dopo, ci danno una chiarissima idea di questa gran battaglia: e se ne cava ancora qualche util notizia da Eusebio, da Lattanzio, e dall’Epitome.