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morso, e che quei pietosi figliuoli della Repubblica ricusarono di violare la santità della lor venerabile madre1. Ma rammentandoci quanto facilmente nelle più antiche guerre civili, lo zelo di partito, e l’uso della militare ubbidienza avea trasformati i nativi cittadini di Roma nei più implacabili suoi nemici, saremo disposti a diffidarci di questa estrema delicatezza dei Barbari e stranieri, i quali non aveano mai veduta l’Italia finchè non vi entrarono in una ostile maniera. Se non fossero stati ritenuti da motivi d’interessante natura, avrebbero forse risposto a Galerio colle stesse parole dei veterani di Cesare: „Se desidera il nostro Generale di condurci alle rive del Tevere, siamo disposti a seguitare il suo campo. Qualunque muro egli sia risoluto di atterrare, sono le nostre mani pronte a mettere in opra le macchine; nè punto esiteremo, ancorchè la città destinata alla strage fosse Roma medesima.„ Sono queste per vero dire le espressioni di un poeta, ma di un poeta che è stato distinto ed ancor censurato pel suo rigoroso aderimento alla verità della Storia2. Le legioni di Galerio mostrarono una funestissima

  1. Lattanzio de M. P. c. 20. La prima di queste ragioni è presa da Virgilio, quando fa dire ad uno de’ suoi pastori:

    Illam ego huic nostrae similem, Meliboee, putavi etc.

    Lattanzio ama queste poetiche allusioni.

  2. Castra super Tusci si ponere Tybridis undas;
    (Jubeus)
    Hesperios audax veniam metator in agros
    Tu quoscumque voles in planum effundere muros,
    His aries actus disperget saxa lacertis,
    Illu licet, penitus tolli quam jusseris urbem,
    Roma sit.

    Lucan. Phars. 381.