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rimentato alla testa dei ribelli, e scoraggiate e malcontente le sue proprie truppe. Un numeroso corpo di Mori disertò, passando al nemico, allettati dalla promessa d’un largo donativo, e (se vero è che fossero stati arrolati da Massimiano per la sua guerra affricana) anteponendo i naturali sentimenti della gratitudine agli artificiali legami della fedeltà. Anulino, Prefetto dei Pretoriani, si dichiarò in favore di Massenzio, seco traendo la più considerabil parte delle truppe, avvezze ad obbedire al suo comando. Roma, secondo l’espressione di un oratore, richiamò le sue armate, e l’infelice Severo, privo di forza e di consiglio, si ritirò, anzi fuggì precipitosamente a Ravenna. Ivi egli avrebbe potuto esser sicuro per qualche tempo. Le fortificazioni di Ravenna eran capaci di resistere agli sforzi dell’esercito Italiano, e le paludi, che circondavano la città, erano sufficienti ad impedirne l’accesso. Il mare, che Severo dominava con una possente flotta, lo assicurava di un incessato soccorso di provvisioni, e dava un libero ingresso alle legioni, che al ritorno della primavera s’avanzassero dall’Illirico e dall’Oriente in suo soccorso, Massimiano, che dirigeva in persona l’assedio, fu ben tosto convinto, che potrebbe perdere inutilmente il tempo e l’esercito in quella infruttuosa impresa, e che niente sperar poteva dalla forza o dalla fame. Con arte più conveniente al carattere di Diocleziano, che al suo proprio, egli diresse l’attacco più contro lo spirito di Severo, che contro le mura di Ravenna. I tradimenti, già provati, avean disposto quel Principe sventurato a diffidare degli amici, e degli aderenti più sinceri. Gli emissari di Massimiano facilmente persuasero alla sua credulità, che si era formata una congiura per tradir la città; e profittando dei suoi ti-