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con segreti tradimenti, e nell’altre egli pregiò la grata lor fedeltà per un infelice Sovrano. Il giudizioso discernimento di Aureliano, di Probo, e di Caro avea collocati nei vari dipartimenti dello Stato e dell’esercito Uffiziali di un merito riconosciuto, l’allontanamento dei quali avrebbe nociuto al pubblico servigio, senza giovare all’interesse del successore. Tal condotta, per altro, presentava al Mondo Romano la più bella apparenza del nuovo Regno e l’Imperatore affettò di confermare questa favorevole prevenzione, dichiarandosi che tra tutte le virtù dei suoi predecessori, l’umana filosofia di Marco Antonino era quella che egli più ambiva d’imitare1.

La prima azione considerabile del suo Regno sembrò una prova evidente della sua sincerità e moderazione. Ad esempio di Marco si scelse un Collega nella persona di Massimiano, a cui conferì prima il titolo di Cesare, e di poi quello di Augusto2. Ma i motivi della sua condotta, egualmente che quelli della sua scelta, erano ben diversi da quelli del suo ammirato predecessore. Accordando ad un giovane dissoluto gli onori della porpora, avea Marco Antonino soddisfatto a un debito di privata gratitudine, a spese veramente della pubblica felicità. Diocleziano, associando in un tempo di pubblico pericolo alle fatiche del governo un

  1. Aurel. Vittore nomina Diocleziano „Parentem potius quam Dominum„. Vedi Stor. Aug. p. 30.
  2. La questione del tempo, in cui Massimiano ricevesse la dignità di Cesare e di Augusto, avea divisi i critici moderni, e data occasione ad un gran numero di dotte dispute. Io ho seguitato il Tillemont, (Stor. degl’Imperat. t. IV. p. 500-505) che ha bilanciato le diverse difficoltà e ragioni colla solita sua scrupolosa esattezza.