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disagiati, quella rapida e abbagliante prosperità che dal 1848 in appresso si era veduta sviluppare intorno a lei, le pareva miracolosa. Ne era quasi sgomentata — e quegli ingenui sgomenti formavano la gioia del marito. Il signor De Mauro, nelle sorprese di sua moglie, in quelle enfasi di maraviglia che toccavano i confini della paura, gustava doppiamente i propri trionfi. Egli era il giuocatore di prestigio che dopo aver gettata nel bossolo una moneta di rame, ne fa uscire gli scudi a centinaia fra lo stupore e l'applauso del pubblico. Per il signor De Mauro il pubblico era la moglie — la buona Serafina vedeva l'oro moltiplicarsi, crescere la agiatezza, e sempre, all'annunzio di nuove fortune, rideva e tremava per impeto convulso. Qualche volta, fissando nel marito i suoi grandi occhi pieni di spavento, ella non poteva trattenersi dallo esclamare: saresti tu mai il diavolo!... A tali parole il marito si sentiva rapire dalla gioia. —


V.

Abbiamo schizzato due ritratti e due biografie. Ma il signore e la signora De Mauro, come già avvertimmo, non prenderanno molta parte nella breve storia che siamo per riferire. — Vi è un giovane di ventidue anni in questo palazzo costrutto coll'oro degli appalti e delle forniture militari, un giovane che è passato per tutte le fasi delle fortune paterne senza quasi avvedersene, che sarà un giorno l'erede di uno dei più cospicui patrimonii di Milano, ed è, cionnullameno, infelice, noiato della vita e cupamente misantropo. Un bel giovane dai capelli bruni, dallo sguardo profondo, dal labbro ardente, adorato dai genitori, stimato dagli amici, desiderato nei circoli della società più eletta. Eppure il figlio del signor De Mauro non brilla fra gli eleganti di Milano, rifugge dai convegni brillanti, vive quasi isolato. In famiglia, rare volte si abbandona a quelle espansioni confidenziali che una madre affettuosa, una tenera madre qual è la signora Serafina, avrebbe diritto di attendersi dall'unico figlio. — Qual è il segreto di questa tristezza che ogni giorno progredisce