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CANTO VIGESIMO. 317

LXXXIII.


     Il Guascon ritirandosi cedeva;
Ma se ne gía disperso il popol Siro.
Eran presso all’albergo, ove giaceva
660Il buon Tancredi, e i gridi entro s’udiro.
Dal letto il fianco infermo egli solleva:
Vien sulla vetta, e volge gli occhj in giro.
Vede, giacendo il Conte, altri ritrarsi,
664Altri del tutto già fugati e sparsi.

LXXXIV.


     Virtù ch’a’ valorosi unqua non manca,
Perchè languisca il corpo fral, non langue;
Ma le piagate membra in lui rinfranca
668Quasi in vece di spirito e di sangue.
Del gravissimo scudo arma ei la manca:
E non par grave il peso al braccio esangue.
Prende con l’altra man l’ignuda spada
672(Tanto basta all’uom forte) e più non bada.

LXXXV.


     Ma giù sen viene, e grida: ove fuggite,
Lasciando il Signor vostro in preda altrui?
Dunque i barbari chiostri, e le meschite
676Spiegheran per trofeo l’arme di lui?
Or tornando in Guascogna al figlio dite,
Che morì il padre, onde fuggiste vui.
Così lor parla; e ’l petto nudo e infermo
680A mille armati e vigorosi è schermo.