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CANTO SECONDO. 41

XXIII.


     Non volli far della mia gloria altrui
Nè pur minima parte, ella gli dice;
Sol di me stessa io consapevol fui,
180Sol consigliera, e sola esecutrice.
Dunque in te sola, ripigliò colui,
Caderà l’ira mia vendicatrice.
Disse ella: è giusto; esser a me conviene,
184Se fui sola all’onor, sola alle pene.

XXIV.


     Quì comincia il Tiranno a risdegnarsi;
Poi le dimanda: Ov’hai l’imago ascosa?
Non la nascosi, a lui risponde, io l’arsi;
188E l’arderla stimai laudabil cosa.
Così almen non potrà più violarsi
Per man de’ miscredenti ingiuriosa.
Signore, o chiedi il furto, o ’l ladro chiedi;
192Quel non vedrai in eterno, e questo il vedi.

XXV.


     Benchè nè furto è il mio, nè ladra io sono;
Giusto è ritor ciò ch’a gran torto è tolto.
Or questo udendo, in minaccevol suono
196Freme il Tiranno; e ’l fren dell’ira è sciolto.
Non speri più di ritrovar perdono
Cor pudíco, alta mente, o nobil volto:
E indarno Amor, contra lo sdegno crudo,
200Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.