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CANTO SETTIMO. 213

XLI.


     Disponsi alfin con disperata guerra
Far prova omai dell’ultima fortuna.
Gitta lo scudo, ed a due mani afferra
324La spada ch’è di sangue ancor digiuna:
E col nemico suo si stringe e serra,
E cala un colpo, e non v’è piastra alcuna
Che gli resista sì, che grave angoscia
328Non dia piagando alla sinistra coscia.

XLII.


     E poi su l’ampia fronte il ripercuote,
Sicchè ’l picchio rimbomba in suon di squilla:
L’elmo non fende già, ma lui ben scuote,
332Talch’egli si rannicchia, e ne vacilla.
Infiamma d’ira il Principe le gote,
E negli occhj di foco arde e sfavilla:
E fuor della visiera escono ardenti
336Gli sguardi, e insieme lo stridor de’ denti.

XLIII.


     Il perfido Pagan già non sostiene
La vista pur di sì feroce aspetto.
Sente fischiare il ferro, e tra le vene
340Già gli sembra d’averlo, e in mezzo al petto.
Fugge dal colpo, e ’l colpo a cader viene
Dove un pilastro è contra il ponte eretto.
Ne van le schegge e le scintille al cielo,
344E passa al cor del traditore un gelo.