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e degli agrarii trattati di Columella, non insegneranno giammai a tradur Georgiche con una tal fedeltà. Non già ch’io voglia escludere questi soccorsi, li suppongo anzi, e li esigo; ma vuolci inoltre assai più: una profonda cognizion metafisica delle due lingue, e un lungo uso franco e versatile della propria, e perspicacia d’ingegno, e dilicatezza di gusto, e un criterio finissimo, ed una immaginazione bibula e viva, che non già nella frase, ma nella stessa natura, di cui la frase è una copia vegga e contempli gli oggetti che deve rappresentare, e a dirlo in una parola, è d’uopo d’essere decisamente poeta; nè ciò soltanto, ma è d’uopo esserlo in una certa analogia di carattere, e temperamento con quello che vuol tradursi, onde più facilmente uniformarsi nelle maniere, nel giro, nel colorito, e nell’armonia del suo stile, e schivar quindi il pericolo di trasformare la sobria, e nel tempo stesso fluidissima elocuzion di Virgilio nella diffusa di Ovidio, o nella stretta e vibrata di Orazio.

Era, nol niego, assai più facile in altri tempi il cader nel difetto di una vôta e prolissa verbosità, quando fioria la setta dei