Pagina:Gemme d'arti italiane - Anno I, Carpano, 1845.djvu/103

Quanto abbiam detto della facciata e dell’atrio di questo meraviglioso edifizio dicasi medesimamente dell’interno. Al primo suo affacciarsi sei tentato a stupire della celebrità di questo tempio, e quasi diresti bugiarda la fama. Se tu hai vedute, le magnifiche metropolitane di Roma, di Milano, di S. Paolo in Londra, di Spira, di Colonia, di Toledo, di Roano, ti troverai come allo stretto, ti parrà che lo spazio ti manchi, e dirai a te stesso: è questa adunque quella chiesa di S. Marco che fu come una gloria tutta particolare della Veneta Repubblica, sentendo ricordare il cui nome nelle straniere contrarie alle quali o la guerra o le ragioni del commercio lo avevano sospinto, piangeva di tenerezza il veneto navigatore? Ma se tu ti farai ad esaminarla con occhio paziente, se ne guarderai le porti e, risalendo ai tempi in cui si fondava questa chiesa, entrerai nel suo concetto, quello spazio ti si allargherà innanzi, le imperfezioni dell’arte scompariranno, e ti parrà questo splendido monumento di una nazione tanto gloriosa. Tutto difatti accenna in esso la ricchezza e la possanza della Veneta Repubblica. Quanta diversità di marmi, quanta ricchezza di fregi, di ornati, di musaici; che popolo, per così dire, di statue, che moltitudine di bassirilievi, di colonne d’ogni grandezza, d’ogni maniera? Qui continua a svolgersi quel grande poema che ti fece meravigliare nella facciata e nell’atrio; e

    condurre a compimento quest’opera, la diremo piuttosto il lavoro di più generazioni, ciascuna delle quali vi recò la sua pietra, che non di un individuo; una di quelle opere delle quali, con frase che sente un po’ del secentista, come tante altre dello stesso autore, ma però molto energica, disse Vittore Ugo: il tempo è l’architetto, il popolo il muratore.