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10 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO specularvi sopra. Povero Beethoven! chi direbbe che lo spartito originale della messa, eseguita il di 18, trovato nell’inventario dei suoi scritti dopo morto, venne venduto al padre del vivente Artaria per l’ingente somma di fiorini 7, 6 (dico sette fiorini e sei kreuzer), appena la metà del prezzo di entrata che si pagò per udirne T esecuzione! Per essere breve vi dirò che la festa cominciò il di 16 colla rappresentazione dell’opera Fidelio nel nuovo teatro Imperiale dell’Opera. La sala era splendidamente illuminata, grande e scelto il concorso. Ivi si incontrarono le sommità di ogni classe sociale, Corte, diplomazia, armata e sovratutto T opulente finanza del vecchio testamento che, per gusto o per calcolo, rappresentando la parte del Mecenate, sulla ’scena sociale, va bel bello soppiantando la caduca aristocrazia. La serata principiò con la Sinfonia festiva op. 115; a questa succedette un Prologo drammatico declamato dall’esimia artista signora Welter, che compariva sulla scena nell’aspetto di una Musa con una lira dorata in mano e produceva, altri dicono un contrasto, quanto a me dirò un singolare anacronismo, standosi sulla scena attorniata dai preclari e benemeriti intendenti, direttori, ispettori, ecc., ecc. del teatro Imperiale in cravatta bianca, gialla, nera a coda di rondine, pantaloncini e scarpette. Il che non toglie che la Wolter porgesse col suo talento, accompagnata da alcuni accordi melodrammatici, un’apoteosi del venerato Maestro, dando ai versi colla sua enfasi un colorito che non seppe dargli il poeta. Alla declamazione successe un coro, poscia si alzò un sipario che smascherò un tempio, attorniato da figure allegoriche fra le quali campeggiava un busto colossale di Beethoven. La Wolter sali sui gradini del tempio e depose sul capo dell’eroe della festa una corona di alloro fra i fragorosi applausi del pubblico. Non nego che la scena riescisse bene, il teatro prestandosi egregiamente agli effetti di luce, ma per un occhio un po’ esperto ed abituato agli spettacoli di molti paesi, appariva un fondo arcadico ed accademico che sapeva un tantino di pedanteria. E questo fu il punto culminante dell’apoteosi. Dopo la fantasmagoria si venne al sodo, cioè a Beethoven in anima ed in corpo, qual ce lo rivelava il Fidelio, il quale fece dimenticar tutto il preambolo di cui vi narrai per dovere di cronista. Fare l’analisi del Fidelio e profondermi in encomii gli è portar acqua al mulino. Mi limito a dirvi che fu eseguito come doveva esserlo da una eccellente orchestra e da consumati artisti. Ivi rifulse di nuova e sempre viva luce la Dustmann, nella parte di Leonora, il Beek in quella di Pizarro, Walter in quella di Florestano, e fecesi onore la Tellheim, il Draxler, nonché Schmid e Pirk. Grande e commovente sensazione produsse il coro dei prigionieri, ove la natura ed il sentimento drammatico sono così veramente tratteggiati che si direbbe una pittura di note. Basta questo pezzo per dar un’idea del talento drammatico di Beethoven. All’indomani e fino al 19 si alternarono i concerti nelle sale deH’Accademia filarmonica. Le bandiere che sventolavano innanzi all’edificio annunziavano la festa al pubblico. Il locale era ben addobbato, il vestibolo trasformato in giardino, ma se il teatro era già ristretto, era l’Accademia cosi angusta, che non vi era più un angolo per ficcarsi; tutto era pieno fino alla cornice. Il 16 cominciò il concerto con la Sinfonia op. 124 scritta nell’anno 1822 per l’apertura del teatro della Josefstadt. Qui mi permetto una riflessione. L’apertura di un teatro suburbano, ormai diventato di terz’ordine, s’inaugurava con un’opera nuova scritta appositamente da un gran maestro, mentre aprendosi il sontuoso teatro dell’Opera, Tanno scorso, non si trovò di nuovo che alcune strofe, a guisa di prologo, regalateci dalla musa del Consigliere Dingelstedt; quanto all’opera si dovè pescare nel repertorio vecchio di Mozart. Pure il teatro nuovo dell’Opera costò quaranta volte più del vecchio della Josefstadt; giacché eravamo nelle spese poteasi pagare un maestro per iscrivere un’opera. Ma in Vienna pur troppo si moltiplicano i teatri lirici, ma i Mozart, i Beethoven sono diventati introvabili. Per supplirvi si sopraccaricano i teatri di dignitari, intendenti, consiglieri e direttori a iosa — dalla Corte si sale al Parnaso. Tornando al soggetto, alla sinfonia successe pure un prologo, applaudito, perchè detto dagli egregi Lewinski e Weilens, ma che, a meno di volerci dimostrare la fraternità fra la musica e la poesia, il che sappiamo da un pezzo, era affatto superfluo riducendosi ad un’apologia di Beethoven alla quarta potenza, di cui non avevamo bisogno, mentre ogni nota scritta dal maestro gli serve di apologia. Ma gli è nel carattere tedesco di ripetere e ricalcare le cose usque ad satietatem e di non avvedersi ch’ei diventa stucchevole e monotono. Il signor Door eseguì squisitamente sul cembalo uno dei concerti più melodiosi, Top. 73. Pure questo stesso concerto, oggi cosi applaudito, fece fiasco nella stessa Vienna l’anno 1812! Il trattenimento fu chiuso con la grandiosa sinfonia op. 125, col concorso di Dessoff e dell’orchestra dell’Opera. Domenica 18 la stessa sala aprivasi ad altri esercizi musicali, ove sotto la direzione del signor Hellmesberger eseguivasi la Messa solenne scritta nel 1822 e dedicata all’Arciduca Rodolfo, arcivescovo di Olmùtz. Nell’orchestra contavansi 80 suonatori, e fra i cantanti 700 individui. I soli di soprano furono cantati dalla sig.a Wilt, quelli di contralto dalla sig.a Gomperg-Bettelheim; i soli di violino suonati dal Grùn e l’organo da Bruckner e Frank. L’esecuzione riuscì, bene, quantunque tratto tratto si palesassero imperfezioni nate dall’associazione di tanti diversi elementi più o meno istruiti. Il Kyrie, il Gloria ed il Credo furono freneticamente applauditi. Lunedi 19 fu T ultimo giorno delle feste ed il terzo dei concerti. Il concerto ch’ebbe luogo di giorno all’Accademia filarmonica si aggirò in quelle composizioni cosi dette di salotto. Si aprì col terzetto op. 97 scritto nel 1811, eseguito da Epstein, Grùn e Popper. Troppo grandioso trovossi questo terzetto per un’accademia, ma esuberante di originalità che rapiscono anche i profani. A questi successe un ciclo di canzoni che ei rivelavano Beethoven sotto un altro aspetto, canzoni piene di frasi espressive e ricche di sentimento. La signora Gomperg cantò alcune melodie inedite o meno note in Vienna. Si terminò col famoso quartetto composto nel 1826, un anno prima della morte dell’autore, ove si distinsero nell’esecuzione Hellmesberger e Bacimeli. La sera riaprivasi il teatro colla rappresentazione ceV Fgmont, poesia di Goethe e musica di Beethoven. Se il teatro era zeppo ce n’era ben donde, perchè chi non accorrerebbe all’intendere questi due grandi nomi? Conchiudo dicendovi che gli artisti delT Opera coll’orchestra diretta da Herbeck fecero risaltare tutte le bellezze dello spartito riscuotendo immensi applausi e lasciando nell’uditorio un desiderio ancor più vivo di udire le produzioni di quel genio, distribuendole per serie, onde assaporarle con calma e comodo, senz’affastellarle come venne fatto in questi quattro giorni festivi. G. Gelsi. — MILANO. Il nuovo atrio del teatro alla Scala soddisfece pienamente al gusto del pubblico. L’antica sala di aspetto delle signore fu ridotta alla sua primitiva destinazione di vestibolo, e fu adattata un’altra sala d’aspetto, abbastanza elegante, che negli anni avvenire dovrà avere la sua corrispondente. Questa nuova distribuzione dei locali non danneggia punto la libera circolazione, come altri aveva temuto. MODENA. Scrive il Panaro del 26 dicembre: Ieri sera si aprirono le scene del nostro maggior teatro e si diede la prima rappresentazione della Contessa d’Amalfi e del Brahma. Il teatro era affollato, ma il pubblico non era di buon umore, e sembrava che il gelo, che ricerca il midollo dell’ossa in questi giorni, tenesse eccitati i nervi degli spet