Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1871.djvu/19

GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 9 menti (uno solo) che hanno tanto sovente i due primi. Anche il genere della voce, (del resto, lo ripeto, stupendamente bella) non ha il timbro confacente per un canto eminentemente drammatico. Io amerei udirlo nei Puritani., nel Mosè, nel Barbiere ed in cento altr e opere, che, a mio avviso, gli porgerebbero larghissimo campo a straordinari trionfi. — Per altro egli cantò la sua parte assai bene e fu fatto segno di sincere acclamazioni. La Contarini fu a buon diritto festeggiatissima. Questa simpatica cantante, su cui, parecchi anni or sono, udendola a Verona nel Giuramento, ebbi a vaticinare di belle cose assai (e lo ricordo con compiacenza, perchè si sono avverate), fu. un Eboli inappuntabile. Quantunque avesse a lottare colle indelebili ricordanze della Gaietti, nell’arte del canto e nella fluente soavità della voce a nessuna seconda, pure seppe farsi applaudire clamorosamente alla Canzone del Velo detta con somma leggiadria, quantunque troppo bassa pel suo registro; ma applausi ben più vivi e chiamate ella si ebbe alla sua aria nell’atto quarto: «Dono fatai, dono crudel «La udremo presto nella Beatrice e mi azzardo a dire fin d’ora che piacerà, d appoichè la fama di questa artista veramente diligente ed eg re già non fu carpita, ma guadagnata con meriti reali. Basti il ricordare cerne l’anno scorso assumesse qui la faticosissima parte di Margherita nell’Alberigo del maestro Malipiero, opera d’una tessitura cotanto ardita, particolarmente per lei, che pcche donne tra le migliori avrebbero potuto sostenere: eppure per 12 o 13 sere ella cantò con taleamore che fu T idolo del pubblico, ed il Malipiero deve serbar carissima memoria di lei che tanto cooperò al buon esito dell’opera. Il basso Angelini (Filippo) è buon cantante, ma la sua voce riesce monotona. Le re miniscenze del Medini sono per lui fatali; cionullameno, specialmente nei pezzi concertati, sa trar partito da’ suoi mezzi e farsi applaudire. Il Nannetti (inquisitore) ha bella vece e canta bene: fu merito tutto suo se questa volta si potè gustare il duo dei bassi nell’atto quarto, duetto che due anni or sono passava inosservato malgrado il molto bello che racchiude. L’orchestra diretta dal valentissimo Castagneri ed i cori capitanati dal bravo Acerbi, rivaleggiarono con nobilissima emulazione, e meritano entrambi le più larghe ledi. La messa in iscena potrebbe essere migliore, ma non bisogna cavillare sulle inezie quando ei si dà del buono e del bello a profusione. — In una parola se il Don Carlo nello stesso teatro or fanno due anni piacque, ora desta un vero entusiasmo. E non è a dire che l’esecuzione di allora non fosse commendevole per più riguardi. La Gaietti, la Blume, il Villani, il Colini, il Medini sono n orni carissimi nella storia dell’arte; ma questa volta v’ha un complesso che meglio si adatta alla perfetta interpretazione del grandioso capolavoro... Qui m’accorgo di aver di troppo varcato i confini d’una corrispondenza e mi fermo ad un tratto. Ve ne chiedo venia, ma aveva veramente bisogno di dir bene d’uno spettacolo alla nostra Fenice. E infatti era tempo che que sto splendido ritrovo, che ha delle tradizioni cotanto rispettabili, potesse emettere i soavi profumi d’uno spettacolo monstre p er ripulirsi dei deleteri miasmi di cui l’avevano infetto e conta minato, specialmente l’anno decorso, certi profani sacerdoti dell’arte e certi ancor più spudorati speculatori. Nella prossi ma settimana vi terrò parola dei teatri minori. P. F. Mantova, 29 Dicembre 1870. Un tempo indemoniato, e. da far rammentare la ritirata di Mosca, impedì alla maggior parte dei nostri cittadini di recarsi la sera del 26 corrente al teatro Sociale per assistere alla prima rappresentazio ne del Buy Blas del Marchetti. In verità mi faceva dispiacere il vedere un teatro mezzo vuoto per ascoltare uno spartito tanto desiderato ed. eseguito anche da artisti di merito. Io non vi farò una critica, perchè non farei che ripetere il già detto anche su questo stesso giornale, nel N. 15 dell’anno scorso, allorché il Ruy Blas veniva rappresentato per la prima volta in Milano. Il nostro pubblico fece lieta accoglienza a quest’opera che presenta dei punti veramente belli, ma che in massima non ha di quei pezzi che affascinano ed attirano le masse. Sebbene il Ruy Blas abbia fatto il giro di molti teatri d’Italia, metto pegno che non ha fatto e non farà mai l’interesse delle imprese. Comunque sia, l’esecuzione fu buona per parte degli artisti i quali fecero risaltare i punti salienti dell’opera, cioè: il duetto di Don Sallustio e Ruy Blas nel primo atto, la ballata di Casilda nel secondo, l’aria di Ruy Blas, il duetto d’amore ed il successivo duetto con Don Sallustio nel terzo atto, e finalmente il terzetto tra Don Sallustio, Ruy Blas e la Regina e il duetto finale nel quarto atto. Steger nel terzo e quarto atto fu inarrivabile, allorché specialmente il dramma incalza; gli fu forza replicare il duetto d’amore, ed ebbe molti applausi al finale dell’opera. La signorina Ciuti ha una bella voce di soprano che si adatta benissimo alla partitura, ed oltre ciò ha intelligenza e sentimento musicale. La signorina Massaro, benché esordiente e dominata da timor panico, seppe cogliere applausi nella parte di Casilda, e dobbiamo rendere giustizia al Cima che nella difficile parte di Don Sallustio ebbe non dubbie prove di approvazione. Tutto sommato piacquero l’opera e i cantanti. Si hanno però a lamentare le indecenti scene, i vestiari, specialmente delle donne, e la messa in scena tutt’altro che intelligente. D.r E. P. Vienna, 21 dicembre 1870. Le giornate 16, 17, 18 e 19 dicembre faranno epoca negli annali dell’arte, essendo state consacrate alla memoria di Beef thoven per la ricorrenza dell’anniversario secolare della sua nascita. Beethoven non è viennese, però che nacque a Bonn, ma fu viennese per adozione perchè ivi concepì le sue migliori produzioni, perchè trovò nell’ospitalità viennese occasione e campo a sviluppare il suo genio, perchè se Vienna non intese il suo primo vagito, raccolse però il suo ultimo sospiro, essendo imma[ Diramente morto fra noi nell’anno 1827, ed avendoci lasciato la sua spoglia che giace nel camposanto di Wàhring. Beethoven è dunque nostro concittadino per sentimento e per convivenza e come tale vollero rendergli omaggio gli amici ed i cultori dell’arte musicale. La così detta festa di Beethoven fu concepita sovra dimensioni assai larghe, perchè il comitato promotore volle far rivivere il maestro presentandolo al pubblico sotto i molteplici aspetti che una prodiga natura gli permise di prendere. Si volle rammentare ai discendenti il Beethoven lirico-drammatico, concertista, sinfonista, scrittore di melodie sacre e teatrali, sommo in tutto, benché l’eccellente di una singola delle sue parti avrebbe bastato per tramandarne il nome alla posterità. Se il comitato promotore ebbe un torto, fu di aver pensato soltanto agli artisti od amatori, conoscitori, e per nulla a quella parte del pubblico che, benché profano, pure sente immenso diletto ad introdursi nel santuario delle muse. Non bastava, a parer mio, magnificar Beethoven, dovevasi eziandio popolarizzarlo e render la festa accessibile, ad un uditorio tre o quattro volte più grande, il che non era difficile perchè in Vienna i locali non mancano per siffatte riunioni. La festa invece si circoscrisse fra le sale dell’Accademia filarmonica; molti furono i chiamati e pochi gli eletti, vale a dire che moltissimi sarebbero accorsi corrispondendo un prezzo modico, mentre in proporzione pochi furono gli ammessi pagando una forte entrata. Ed ancora se non si fosse trattato che di pagar T entrata! ma bisognava pagar gl’incettatori di entrata, e farlo in tempo, in guisa che, benché i promotori delle feste ei ponessero briga, tempo e forse dispendio, pure non vanno esenti dal sospetto di avere evocato i mani di Beethoven per