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STRUTH Finché c’è qualcheduno - non me ne voglio andare: Con penna e con matita - qualcosa vo’ approvare. PRESIDENTE Poiché nessun risponde, - poiché nessuno ascolta, Dichiaro ad alta voce - che la seduta è sciolta. AL PUBBLICO La colpa non è mia - se nulla s’è concluso: Io ne sono stordito - e mi si allunga il muso. Bisogna confessare - cld è proprio un gran peccato: Aveva la seduta - sì bene incominciato!... Ala poi che alcun programma - non fu ancor messo insieme, E di riudir Beethoven - non ei riman la speme, Non voglio che per nulla - vi siate tutti mossi; Che partiate desidero - almeno un po’ commossi. Se di Beethoven ora - le sembianze arruffate Esser da voi non possono - di nuovo contemplate, Vi compenso, esponendovi - un altro bel ritratto... Vedetelo, ammiratelo, - dite s’è bello... è La sera del Santo Stefano — il Rubicone delle imprese — è passata, e pressoché tutti i Cesari apocrifi della stampa a quest’ora hanno aggiunto un’apposita nota ai loro commentarli per dire al mondo come qualmente il famoso passo si sia compiuto. Questa è la mia volta, ed incomincio. Ma prima di tutto lasciate che io vi faccia una dimanda: avete mai esaminato la fisonomia del pubblico in genere, e di quello della Scala in ispecie, nella famosa sera di S. Stefano? E siete voi riusciti a darvi ragione della musoneria implacabile, della severità sospettosa, inquisitoriale con cui invita sè stesso a tacere appena vede in aria il primo segno cabalistico della bacchetta del direttore d’orchestra? Io mi sono detto almeno una dozzina di volte, che in quel contegno di serietà ufficiale, volere o non volere, ei aveva da essere qualche cosa di panettone indigerito, e con un lieve sforzo d’immaginazione ho visto in ogni membro di quel gran corpo che si chiama il pubblico un ventricolo pieno. Ma chi è, in nome di Dio, quel Cesare apocrifo che si rispetta che non abbia detto e commentato questa preziosa scoperta almeno una dozzina di volte? Quest’anno ho trovato di meglio; sissignori, con un’occhiata più profonda del solito, (ciò che mi fa credere di essermi spinto ad una profondità rispettabile) io ho analizzato e scomposto le traccie del malumore che il pubblico porta periodicamente al teatro nella sera di Santo Stefano. Ecco il mio ragionamento: il giorno di Santo Stefano, agli occhi del vero filosofo, non è tanto un giorno di esclusiva proprietà di questo Santo (come sembra indicarlo la particella di) quanto un’appendice del giorno del Santo Natale - il giorno sacro all’idillio del focolare, del panettone e della bottiglia; il che è quanto dire che il Santo Stefano ha diritto alla sua fetta d’idillio; il che è quanto dire che ogni galantuomo si trova nel bivio crudele di rinunziare all’idillio o di mancare all’apertura del teatro; il che è quanto dire che ogni spettatore non è che troppo disposto a pentirsi della scelta che ha fatto — il che è quanto dire che egli non cerca di meglio che di mostrare a qualcheduno il suo malumore. Riassumendo: nel giorno del Santo Stefano si va al teatro perchè il teatro si apre in quel giorno, ma se il teatro avesse il buon senso di non aprirsi in quel giorno, il buon pubblico resterebbe volontieri a casa. Dagli spettatori veniamo agli spettacoli. La Scala è riuscita a risolvere un problema che si può proporre così: data una mezza dozzina di artisti più o meno celebri, dati novanta professori d’orchestra esimii, e ottantasei coristi scelti, data un’opera di sicuro esito, trovare il fiasco d’obbligo del Santo Stefano. Lo ripeto: il problema fu risolto meravigliosamente, e Y Africana di Meyerbeer, interpretata dalla Fricci, dalla Pozzi-Branzanti, dal Tiberini, dal Maini, dal Collini e dall’Antonucci, diede un tuffo, ricomparve a galla, diede un altro tuffo e sparì nei profondi gorghi della scena, che come tutti sanno è un mare instabile; in altri termini: Y Africana dopo l’onore (equivoco) di due rappresentazioni fu cancellata dal cartellone per preparare l’andata in scena della Norma. Questa catastrofe imprevedibile ed impreveduta si spiega con una frase che non è la meno graziosa del gergo teatrale: mancava Vaffiatamento. Gli artisti, uno per uno, cercarono di fare del loro meglio, da gente onesta che sa di essere celebre od esimia e tiene a farlo vedere, ma tutti insieme, Timo sull’altro, in monte... mancavano d’affiatamento. Fra tutti gli esecutori emerse la Fricci, artista che ha pochi eguali per le doti del canto e nessuno superiore per la parte drammatica. Si è trovato che la voce della Fricci è diventata alcun poco rantolosa, e non si è pensato che forse è alquanto rantolosa la parte di Selika; per me credo che la voce della Fricci non abbia nulla perduto e sono certo che la prima rappresentazione della Norma farà dire a qualche confratello che: Y organo della Fricci è sempre Yorgano meraviglioso d’una volta. Il Tiberini, valentissimo tenore che gode a ragione la benevolenza del pubblico milanese, non è assolutamente a suo posto nella parte di Vasco; però l’impressione che egli produsse fu tanto più sconfortante in quanto grandissime erano le aspettazioni e sconfinata la fiducia che si aveva nel suo talento sebbene si sapesse che egli doveva essere stanco per un lungo viaggio e che aveva assunto la parte di Vasco con sole due prove per sostituire il tenore Adams. Aneli’ egli però ebbe momenti felici, e nel famoso duetto d’amore dell’atto quarto seppe gettare nel pubblico una di quelle scintille elettrizzanti che mutano la freddezza in entusiasmo. La Pozzi-Branzanti non ha una voce robustissima, ma ha in compenso una dolcezza d’accento e una soavità di canto invidiabili; fu freddimela dal principio alla fine, ma nei duetti del quarto e del quinto atto fece valere tutte le sue doti e il pubblico riconobbe e festeggiò in essa un’eccellente artista. Il Collini (Nelusco), il [Maini (Don Pedro), T Antonucci, e gli altri (tutti bravissimi artisti) passarono senza infamia e senza lode non lasciando dietro di sè null’altro che la speranza, e vorrei dire la certezza, di poterli accogliere più degnamente in un’altra opera. L’orchestra era in carattere, e tirò faticosamente innanzi con una lentezza e con un sussiego degno di ammirazione; essa aveva l’aria di accompagnare con una marcia funebre alla sepoltura il disgraziato cadaverino d’uno spettacolo morto prima di nascere per mancanza di.... affiatamento. In quanto al vestiario e alle scene, salvo il famoso spaccato di vascello che rassomigliava più a una trappola tesa che ad