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nella risonanza del corpo sono somministra il solo accordo di terza non quello di terza minore. Ma tenta in ogni caso, per dritto 0 per torto, la ragione delle cose, volendo mostrare il perchè la settima della scala di modo minore debba esser maggiore quando sale, e minore quando discende, dice che si fa maggiore per dare alla scala minore tutta l’affinità possibile con la maggiore che all’incontro si fa minore per dimostrare che la scala minore è formata dalle stesse note della scala maggiore: il che, come ognuno vede, importa due effetti diametralmente opposti, aventi la medesima cagione. Questa contraddizione, la quale sgraziatamente non è la sola nell'opera del Quadri, io vorrei condonargliela, ove altro di erroneo non gli guastasse la teoria di detta scala. Ma da una parte egli afferma, senza restrizione, che la settima nel discendere deve essere minore, e dall’altra tace della proprietà della sesta, che nel discendere dee per lo più essere minore, e tale può essere anche nel salire. Laddove è cosa notissima che nel tono di La minore, non di rado accadono queste due successioni: Mi-Fa[bequadro]-Sol#-La, e La-Sol#-Fa[bequadro]-Mi; e che, sebben di rado, ha luogo anche quest’altra: La-Sol#-Fa#-Mi.

Da tutto il finora discorso si può raccogliere che il nostro armonista ha una cognizione anzi superficiale che profonda della natura della melodia, del tono e del modo. Che se altrimenti fosse, come avrebbe potuto incorrere negli errori e nella contraddizione menzionati? Al certo egli avrebbe avvertito che la struttura della scala, Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si-Do dipende dalla ragione melodica, la quale prescrive una successione diatonica, congiunta con la ragione armonica, la quale esige la nota sensibile; e non avrebbe pronunziato che quella scala è suggerita dall’istinto dell'uomo. Avrebbe avvertito che la settima del modo minore si fa maggiore o minore, secondochè l’una o l’altra delle due ragioni, armonica o melodica, prevalgono. II quale principio, sviluppato come si conviene in un trattato in cui si rende ragione di tutto, importerebbe che la detta settima, fuor solamente alcune eccezioni che hanno luogo nella melodia e nelle progressioni, si fa sempre maggiore nello ascendere; e nel discendere si può far maggiore o minore a piacimento, seppure una delle due ragioni sopraddette non ha un forte predominio sull'altra. E con ciò avrebbe evitato non solamente la contraddizione, ma eziandio l’errore incorso nel dire in modo assoluto, che la settima discendente dev’essere minore. Avrebbe fors’anche avvertito che la sesta ascendente si può far maggiore o minore a piacimento, siccome ho detto della settima discendente; e che la medesima sesta, quando discende, (seppure non si procede per semitoni) dev’esser assolutamente minore, se è preceduta dalla settima minore, e può essere maggiore o minore, se è preceduta dalla settima maggiore; e che infine la settima vuol essere maggiore, e la sesta quasi sempre minore, ove queste note procedano non per gradi, ma per salti. E avrebbe con ciò riempita la non piccola lacuna da lui lasciata.

E a proposito di lacune, havvene in questo luogo un’altra non meno importante; ed è che il sig. Quadri non ha parlato né punto né poco delle alterazioni che succedono soventi volte nella scala, senza che apportino cambiamento né di tono né di modo: quali sarebbero, a cagion d’esempio, il far minore od eccedente la seconda del modo maggiore, il far maggiore la quarta in ambi i modi, ecc.

Poco mi tratterrò sulle lezioni terza e quarta, nelle quali si espone la teoria degl’intervalli e dei loro rivolti: noterò soltanto: 1. Che quivi comincia a germogliare un principio dal quale dipende in parte l’imperfezione del sistema armonico del sig. Quadri; dappoiché, contro ogni ragion di fatto, egli annunzia che in musica altro non vi è senonchè un continuo passaggio da una scala all’altra (intendi da un tono all’altro); 2. Perchè fra il grandissimo numero d’intervalli che nascono dal comparare fra loro i suoni dell’intero sistema musicale, si parla quivi dei soli semplici e non dei composti? forse perchè in altro luogo (1) è stato detto che sette suoni e non altro servono a comporre la musica? 3. Se il mio maestro, conformandosi alla teoria del Quadri, mi avesse insegnato che il rivolto di un intervallo consiste nel trasportare all’ottava sopra o sotto una delle due note di un intervallo nell’atto che l'altra rimane ferma al suo posto, io gli avrei forse detto: «a dunque la decima è il rivolto della terza » 4. Che il sig. Quadri male si appone nel dire che tutte le opere didattiche di Armonia che trattano la teoria dei prelimanari, la trattano o troppo leggermente o troppo diffusamente: con che vorrebbe indicare ch’egli l'ha trattata appunto come si conviene. Ed ove pur dicesse il vero, bisogna notare che la soverchia brevità o diffusione nelle teorie non sarà mai cosa altrettanto nociva quanto il trattarle incompletamente, e il seminarle di errori, d’inesattezze e di contraddizioni.

M.° L. Rossi.

(Sarà continuato).



CRITICA MELODRAMMATICA

I.

Stretti rapporti fra la poesia e la musica melodrammatica.


Alcuni gretti e freddi apprezzatori del bello delle Arti affermar vorrebbero che nella melodrammatica non entra per nulla il valore della poesia a determinare la maggiore o minore ispirazione del compositore, e che se costui è veramente uomo di genio deve saper scrivere della buona e orava musica anche sopra pessimo libro e sopra peggiori versi. È codesto un errore sì grossolano che niuno saprà mai sostenere con buone ragioni, e potrà tutt’al più pigliare una pallida sembianza di vero ove lo si puntelli di alcuni esempi: d’eccezione. E nella quistione di cui qui si tratta, questi esempi d’eccezione i critici or nominati sogliono andare a pigliarli a prestito da Rossini, il maestro de’ maestri; e ci dicono: Vedete un po’ se egli, ch’era dotato di tanto estro, ha mai avuto bisogno di buona poesia! Gli si desse pure un libro solennemente scempiato, ovvero un sublime poema e per lui era tutt’uno; ei ve lo vestiva di note sì splendide, di melodici concetti sì sfavillanti, che l’uditore più non aveva né tempo, né testa, né voglia di badare al pregio della poesia, tant’era egli abbarbagliato dai lampi delle musiche bellezze! - A questo noi rispondiamo che se anche in alcuni casi può dirsi veramente che Rossini coll’unica sua potenza di creazione seppe infondere vita e calore in alcuni gelidi scheletri drammatici, ciò non prova per nulla ch’ei non avrebbe saputo far molto meglio di quanto fece, ove la poesia avesse giovato per sé stessa a porgere esca al fuoco della sua fantasia ed a scuotere il suo spirito in quegli istanti di raffreddamento che sono pur inevitabili quando l’ispirazione del compositore sia abbandonata a sé sola. Aggiugniamo poi che le più acclamate tra le tante bellissime Opere di Rossini sono quelle appunto che egli ebbe a concepire sui migliori libretti a lui capitati, e che precisamente in queste medesime Opere i pezzi improntati di concetto più originale, svolti con più ricca vena di pensieri, gli vennero proprio dettati sulle più animate e interessanti scene del dramma.

Senza voler ricorrere ad altre argomentazioni per sostenere un’opinione, a dir vero non combattuta se non se da alcuni superbi spiriti paradossali, i quali mal sanno comportare di mostrarsi ragionevoli quando ciò importi l’obbligo di concordare nell’altrui sentenza, ci basterà il far qui un semplicissimo ragionamento. - Qual è lo scopo d’ogni musica e più peculiarmente della musica drammatica? Col mezzo di sensazioni, più o meno vive, ma sempre grate, destare all'animo nostro degli affetti e dei sentimenti diversi, i quali alternandosi con felice vicenda, valgano a tenerci in uno stato di agitazione che, per essere un modo d’esistere diverso dell’ordinario e più dell’ordinario animato, offre un caro pascolo allo spirito e in esso lascia di sé memoria più o meno profondamente scolpita. Ammessa la bontà di questa definizione, che noi stimiamo difficile impugnare, si domanda come potrà una musica drammatica mirare allo scopo cui vuolsi indubbiamente destinata, se chi la compose, all’alto di concepirla, non aveva il cuore compreso dagli alletti e dai sentimenti medesimi che ella debbe svegliare appunto in noi? Or come sarà egli dato al compositore recare a codesto stato d’agitazione il suo proprio animo se il tema poetico ch’egli avrà a vestire de’ suoi concetti musicali gli starà dinanzi come parola morta, e se la sua mente dubbiosa e smarrita non saprà in quale mondo di idee e di immagini lanciarsi? Avrà egli il poveretto un bel torturare la tastiera del suo chiavicembalo, ma ove (indipendentemente dal valore della poesia) gli riesca tutt’al più di accozzare i felici numeri di una cavatina brillante, o le spiritose e piccanti frasi stromentali di un rondò di bravura, o le ingegnosamente intrecciate modulazioni di un elegante duetto, impossibile gli tornerà ordire l’intera sua Opera in guisa che dal tutt'insieme appaja la vera potenza di una fantasia ispirata vigorosamente.

Ma qui ci è duopo spiegar meglio il nostro pensiero: per noi il valore reale di un libretto melodrammatico non consiste già in quel contesto di eletti pregi dei quali è costituito il merito di una teatrale produzione presa nello stretto senso letterario. Un poema da musicarsi sarà veramente buono nel senso nostro in ragione diretta, non tanto della savia e più o meno dotta sua orditura artistica, della più o meno elegante e classica verseggiatura, quanto in

quella del rapido progresso dell’azione

  1. Lez. d’Arm., pag. 6.