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lia), nella quale superò non solo tutti i maestri che lo precedettero, ma anco gli altri suoi contemporanei, per naturalezza e venustà di condotta, per giustezza di ritmo, per originalità, freschezza, fuoco e chiarezza delle immagini, per sicurezza degli e fletti scenici, per ricchezza e brio negli accompagnamenti, specialmente nelP ultime sue produzioni. Nessun compositore creò un maggior numero di quei motivi elettrizzanti che.appellarci di primo getto od intenzione, nè fu più di lui variato ne’ vezzi melodici. La fecondità della fervida sua immaginazione faceva comunemente dire che un’Opera di Cimarosa poteva somministrar materia per farne quattro; e per merito del nostro compositore, e insiem del Guglielmi e del Paisiello, la pura musica giocosa pervenne al più alto grado di perfezione. Volendosi instituire un paragone fra le qualità pròprie a ciascuno de’tre grandi maestri, che il loro secolo illustrarono in Italia, si potrebbe dire che Cimarosa vuole specialmente ammirarsi per l’inessiccabil vena d’estro comico-, per un colorito vivace, e per la piccante e gaja originalità sua, mentre Paisiello meno di lui immaginoso e brillante, commove colla semplicità e soavità de’suoi canti e colle appassionate cantilene, le più proprie all’espressione del concetto poetico. La maniera più notevole dell’Orfeo di Taranto è quella di ripetere più volte le stesse frasi senza variare nè l’armonia nè gli ornamenti, ottenendo da queste repliche un effetto tale che l’animo degli uditori sempre più ne rimane trasportato. Al contrario Cimarosa, appena fa sentire un pensiero, che tosto l’abbandona per farne succedere di nuovi con un lusso prodigioso e con una felicità senza pari. La parte strumentale di Paisiello è di una quiete, regolarità e temperanza non di rado eccessiva; quella del creatore del Matrimonio segreto, tenerissimo com’egli era delle grandi innovazioni di Havdn e Mozart, è concepita più largamente ed in un modo di maggior vivacità ed effetto. Questi, più tardi, non ripugnò dall’usare modulazioni ed armonie che traevano forse della loro origine alemanna;quegli mantenne costantemente inalterabile la purezza della scuola napoletana. Guglielmi poi alla scorrevolezza ed amabilità, ed alla convenienza e ragionevolezza dell’espressione, accoppiava un’armonia per la sua epoca, piena, uno stile fiorito e corretto, ed una fantasia sempre pronta: egli sparse tesori di gusto, di sentimento e d’immaginativa in ogni genere. 1 quali elogi potranno senza dubbio parer soverchi a coloro che in musica non hanno che le sensazioni permesse dalla moda, e pensano non potersi rinvenire bello nella musica drammatica altro che nelle composizioni dell’incomparabile Pesarese, del patetico Bellini, del facile Donizelti, del profondo Mercadante e dell’armonico Meye.rbeer; nè i sensi da noi espressi nel corso di questi cenni appagheranno menomamente que’ molti, in cui è invalsa l’opinione che l’Opere de’classici maestri dei secolo passato, dell’epoca cioè del purismo della musica italiana, come troppo semplici nell’armonia e nell’istrumentazione, non possano piacere al gusto di oggidì. di modo che, se rimettOusi ili teatro partiture di Cimarosa, Paisiello, Fioravanti, Zingarelli, ecc., (ciò che ora accade ben j di rado, massime in Italia ) non pochi ì ascoltatori vi si recano svogliati, e-non sanno trovare in quelle d’assai belle e peregrine cose. Non è questo il luogo da provare, nè forse noi basteremmo a farlo, quanto una tale noncuranza degli antichi capolavori sia funesta all’arte; ma almen ci permetteremo di aggiungere che un vero e spregiudicato conoscitore di qualunque siasi epoca di progresso e di variazione dell arte, allorché si ponga ad esaminar gli sparliti di Cimarosa, non potrà far di non convenire che nessuno più di lui fu dotato dalla natura delle qualità che costituiscono un grande maestro, e che nessuno anche ne fece mai miglior uso in (specie nel genere buffo. oramai da più recenti maestri pressoché sconosciuto a sommo disdoro dell’arle italiana. Is. C. NOTIZIE STORICHE DELLA MUSICA BE’ GRECI Articolo III (I). In Grecia s’aveano canti speciali appropriati a ciascuna professione. Ateneo parla del canto degli schiavi destinati a macinare il grano, di quello de’ mietitori, delle nudrici, de’ lavoratori, di quelli che hanno cura del bestiame, degli impiegati de’ pubblici bagni, dei pastori, degli spigolatoci, de’mugnai, de’tessitori, degli scardassieri. de’fanciulli, ecc., ecc. Essi avevano del pari canti destinati ad esprimere i diversi affetti dell’animo, ed altri consecrati alle cerimonie della vita civile, come quelli dei promessi sposi, delle nozze, de’funerali, ecc. Si vedevano ancora in Grecia certi mendicanti ciechi che andavano attorno cantando e limosinando. Ateneo ha conservala una delle canzoni di questi mendicanti, stata composta da Fenicio Colofonio, poeta giambico. Il cantore portava in mano un corbo (uccello che in Grecia si chiama corone). a profitto del quale egli s’infingeva di andare accattando. Questi mendicanti erano appellati Colonisti, e le loro canzoni Coronismata. In Rodi vi era un’altra specie di poveri chiamati Chelidonisti, i quali recavano una rondinella. Essi sono (secondo Ateneo) citali da Teogni nel suo secondo libro de’ Sacrificii di Rodi. In questo ’tempo, del quale è detto testé, furono inslituiti i giuochi olimpici, pilii, nemeesi e istillici. La più parte de’ ricordati poeti lirici riportarono aa questi giuochi premii che valsero a portar progresso alla musica insieme ed alla poesia. L’istituzione del premio dato ai giuochi pitii per la musica istrumentale deve certo aver molto conferito al perfezionamento di questa parte dell’arte musicale. Certo è che in questo tempo invalse in questi giuochi un genere di musica romorosa all’eccesso. Luciano parla d’un giovane suonatore di flauto nomato Armomde, il quale nel suo primo comparire a questo concorso, volendo eccitare sorpresa ed entusiasmo, soffiò sì fattamente a piene ’: e di tutta forza nel suo flauto nello guam imprendere il suo solo, che due vasi se gli squarciarono nel petto, e incontanente si morì. Luciano dice altresì che i suonatori di tromba si maravigliavano da sè come non avessero a scoppiare per cagione dei loro sforzi estremi. Eglino si servivano di un capistrum o fascia per poter più poli) Vedi Gazzetta Musicale Anno I, pag. 121-162. derosamente soffiare: e questa consisteva I in due. liste di tela, l’una delle quali cin- | geva la testa sopra le orecchie, e l’altra l passava attraverso alla sommità del capo t e ricopriva le gote: così si provvedeva allo i squarciarsi questa parte del viso. I tempi che scorsero da Pindaro sino al conquisto della Grecia fatto dai Romani può considerarsi come l’epoca più fiorente per la storia di questa regione. In questo mezzo tempo fiorirono Eschilo, Sofocle ed Euripide, poeti tragici; Erodoto, Tucidide,.Senofonte, Pitagora, Platone, Aristotele, Aristossene, Euclide, Teocrito, Callimaco, e molti altri filosofi, istorici e celebri poeti. E’u in questi tempi inventalo il dramma, e la unione di questo colla musica molto conferì ai progressi dell’uno e dell’altra. Tutte le tragedie dei Greci erano cantate, e pieno era il secolo di poeti che recitavano i lori versi al suono della lira. II dramma greco si componeva di monologhi, di dialoghi e di cori. I due primi si declamavano in una certa specie di recitativo, e solo il coro si cantava in ritmo misurato. Ai tempi d’Eschilo il numero dei coristi era sovente sino di cinquanta persone: ed in seguito furono per legge ridotti al numero di quindici. Il capo del coro era chiamato corifeo. Ciascuna delle principali odi era divisa in strofa, anlistrofa ed epodo. Demetrio e Triclinio ci insegnano che la strofa si cantava quando il coro marciava a destra, l’antistrofa quando si movea a sinistra, e l’epodo quando, dopo compiute queste evoluzioni, egli si fermava in riposo. Pindaro ha divise le sue odi in somigliante maniera, eziandio quelle che erano indirizzate agli dei. Queste ultime erano cantate dai sacerdoti che si ravvolgevano intorno all’altare, prima a sinistra recitando la strofa, poscia a dritta cantando l’antistrofa; l’epodo solamente si cantava quando i sacerdoti erano da capo, fermi innanzi l’altare. Si vuol notare che tutti i poeti greci erano musici e si accomodavano ognuno da sè la musica alle loro opere. In fra i musici di quest’epoca particolarmente è citato Timoteo (quegli che aggiunse tre corde alla lira, siccome abbiam detto), Frinì, Antigenide, Filossene, Arione, Derione, Ismenia, Teléfano e Lamia (suonatriee di flauto). Poiché molti di questi artisti godevano tutto il favore del popolo, a poco a poco la musica divenne una essenzial parte della educazione de’ Greci. Tale era lo stato in che questa scienza si trovava a’ tempi di Pericle e di Socrate. II flauto era lo stromento favorito dei Greci; essi lo stimavano atto ad eccitare al sommo grado le passioni. Gli Spartani avevano una certa aria che, eseguita da un eccellente flautista, dicevano essi, rendeva un uomo capace di andare incontro seouro ad ogni pericolo. Eglino un’altra ne avevano, detta adorion che essi suonavano col flauto, chiamato Tibia embateria (flauto di marcia) quando erano al punto di venire alle prese coll’inimico. Questi flauti costavano un gran prezzo; e si racconta che Ismenia, famoso musico tebano, ne pagò uno a Corinto tre talenti (che sono 14,5ò0 franchi), e che Teodoro, buono fabbricatore di flauti di Atene, tanto guadagnò nel mercato del suo mestiero, da poter dare una liberale educazione a tutti i suoi figliuoli, e da poter sopportare uno de’ più gravi | tributi a’ quali fossero sottomessi i citta- ’ dini di questa città; quello cioè di rifornire ( del coro le feste e le religiose cirimonie.