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Pistucchi invece di Pistocchi; invece di Pergolesi - Pergoles: invece di Jomelli Tomelli e in altro luogo Giomelli! Invece di Mozart - Mozat, e in altro luogo Morzat: Weigt invece di Weigl - Troeta invece di Trajetta; Melul invece di Mehul: Glnch invece di Gluch: Sauchini invece di Sacchini: Tetit invece di Fétis. La lista potrebbe essere allungata di quattro volte tanto, ma crediamo che i pochi or citati errori (tipografici! s’intende) bastino a far persuaso ogni lettore che è al tutto inutile produrne altri. E qui ci si permetta che, abbandonato un momento il tuono della mite ironia finora usato, diciamo chiaro e tondo al signor Celoni: Se non debbe essere lecito a chi si fa autore di un Compendio storico della musica lasciar stampare in barbara guisa falsificati i nomi della maggior parte delle più grandi celebrità, non meno acerba taccia gli è dovuta se ommette far cenno di quegli insigni che si resero al sommo benemeriti alla bell’arte; e questo maggiormente ove costoro sieno italiani.

Anche sotto questo punto di vista il Compendio del signor Geloni è meritevole del maggior biasimo, perocché nella parte che riguarda la nostra Italia egli dimentica di nominare Marchetti, Spatario, Gabrieli, Nanini, Petrucci, Merula, Benevoli, Allegri, Vecchi, De Majo, Frescobaldi, Caccini, Carissimi, Vinci, Valotti, Fenaroli; ecc., e venendo a’ tempi a noi più vicini nientemeno che si lascia nella penna i nomi di Generali, di Morlacchi, di Coccia, di Mercadante, di Rubini, di Lablache, di Tamburini, ecc. ecc.!!!

Vorremmo per la più spiccia accontentarci di affermare all’ingrosso che il Compendio Storico del signor Celoni è seminato di altri simili ed anco peggiori sbagli, ma poiché a lui non bastano le semplici asserzioni e fanno bisogno le prove di fatto, siam costretti con vero nostro dolore ad osservare i seguenti altri errori, che in verità ci è impossibile segnare nella partita di debito di messer lo tipografo.

1.° Lo Stabat Mater di Rossini è annoverato dal signor Celoni tra le composizioni drammatiche del gran pesarese, e nell’Elenco di queste è poi ommesso il Sigismondo! 2.° La Mula di Portici di Auber, è attribuita a Meyerbeer! 3.° È attribuita a Cherubini una messa di Brinvilliers, e al tempo stesso si ommette di registrare fra le composizioni dell’illustre autore delle Deux Journées il famoso suo secondo Requiem. 4.° Alla pagina 38 si dice «A Napoli vi sono tre Conservatori per i maschi; ve n’erano quattro a Venezia per le femmine»!! 5.° Afferma il signor Celoni come pubblicate nel 1571 le Istituzioni Armoniche dello Zarlino, laddove il furono tredici anni prima, nel 1558. 6.° Si dice creato da Handel, da Bach, da Haydn ecc., l’Oratorio, mentre chi veramente diede il primo saggio di codesta grande forma di composizione musicale-sacra fu san Filippo Neri (come accenna in una nota il signor Celoni medesimo cadendo in contraddizione con sé stesso) e i grandi maestri or nominati non fecero che recarla a perfezione cogli splendidi loro lavori. 7.° Si afferma alla pagina 53 che le orchestre in Francia sono ripiene di musicanti mediocri, indi solo due righe più sotto si nota che ivi le orchestre rigurgitano di talenti e di virtuosi!

Ma a che tirar innanzi più a lungo in questo esperimento di pazienza noioso per noi e pe’ lettori? - Se mai i non pochi sconci qui registrati non bastassero a convincere il signor Celoni che se ommettemmo di notarli nel primo nostro articoletto ch’egli chiamò offensivo, fu per un senso di bontà e di indulgenza, basterà un suo cenno d’avviso, e non mancheremo di compir l’opera. Ci rimane materia da tessere altri due articoli non meno del presente ricchi di citazioni d’errori di ogni specie e natura.


CARTEGGIO


MILANO LI...


Se non mi sbaglio la vostra Gazzetta ha adottata la massima di non far parola nelle sue colonne che dei cantanti di primo cartello, o, come direste voi, con bella eleganza, delle sommità artistiche, e lasciar quindi abbandonata alla oscurità del silenzio la folla delle mediocrità e degli infimi, dei quali poi non mancano di occuparsi con premura più che cordiale taluni altri nostri fogli da teatro. Credetemi, signore, la vostra massima è sbagliata: in primo luogo perché se veramente state fermo a non occuparvi che dei veri artisti di primo cartello, avrete ben di rado occasione di adoperar la penna, per la ragione semplicissima che la razza dei veri artisti di primo cartello è ai giorni nostri poco men che perduta; poi perché ben di frequente accade che siano molto più da lodare e a molto maggior diritto i novelli e principianti che non i provetti cantanti già vecchi alle glorie della scena. Questa vi parrà a primo tratto una proposizione assurda o contraddittoria; ma a che non abbiate a tacciarmi di stranezza mi spiego. I cantanti novelli ed esordienti son per solito non ancora guastati dalle adulazioni del mecenatismo e del procolismo, dalla superbia e dalla vanità cieca e irragionevole che si beve a dosi più che omeopatiche col lungo respirar l’aria de’ camerini e de’ proscenii, dalle ammirazioni iperboliche del giornalismo; in una parola si presentano al pubblico ancora incorrotti e per conseguenza ricchi ancora di tulle le belle qualità di una natura artistica ancor vergine e fresca e più o meno felice; il sentimento, la passione dell’arte è in essi ancora intatta e piena di vita e non esaurita o stanca; tutto questo perciò che riguarda la parte morale e psicologica della professione.

Per quanto è della parte fisica e materiale, voglio dire l’indole e i pregi della voce, il metodo di canto, la maggiore o minor robustezza e agilità naturale della gola, vi assicuro io che i giovani cantanti di primo o di secondo teatro al più, sono a condizioni ben migliori de’ cantanti provetti, i quali ebbero tutto l’agio e il tempo di arricchirsi dei tanti vizii di canto e di declamazione a sforzi di petto e a gridi, cosi di moda al presente e tanto applauditi anche dalle primarie platee, ebbero tutto il tempo e l’agio di dimenticare i buoni precetti, di falsare il metodo appreso, di logorarsi la laringe e di cambiare un organo vocale spontaneo, fresco, simpatico in uno stromento di gola (perdonate l’espressione) aspro, rauco, spossato, e che per conseguenza non dà più i suoi suoni se non a furia di sforzi, di impeti e sussulti. Il poco che vi ho detto credo basterà a convincervi che non ho poi profferita la gran bestemmia se v’ho sostenuto che spesso alla buona e savia critica, com'è quella che professate voi, signori della Gazzetta Musicale, torna più conto occuparsi degli artisti principianti che non di coloro che già sudarono molte stagioni sceniche sotto il glorioso pondo dell’alloro, e ponno già vantare de’ volumi di articoli laudatorii, delle raccolte di sonetti, e dei ritratti litografici nelle Strenne Teatrali!

Dopo tutto questo esordio lunghetto anzichenò permettete che mi occupi di una giovine artista che, per non essere ancora uscita dalla prima delle due categorie di cantanti or accennate, ha tutto il diritto ad una mia onorevole menzione, voglio dire madamigella Cazzaniga, che in queste sere sostiene la difficile parte della inspirata e passionata poetessa di Mlitilene sulle tavole anguste di quel teatro Re, che se è fatto proprio a cappello per gli spiritosi nonnulla del Vaudeville o per i modesti esperimenti della povera Talia italiana, non si conviene per nulla alle superbe finzioni di madama Melpomene quando veste la grande uniforme di parata. Ma questo sia detto per incidenza, e di volo, e si torni alla giovinetta nostra esordiente. Intendo cioè di dirle col mezzo del vostro giornale, il quale ha voce di non volersi lordare di adulazioni e piacenterie, intendo di dirle, che sono sufficientemente contento del fatto suo, in particolar modo nella scena finale, in quella specie di canto del cigno con preludio e accompagnamento d’arpa e flauto ch’ella eseguisce con sentimento naturale e non isforzato, con accentazione discretamente bene appropriata. Certo che io non verrò a pretendere in lei tutte le ricercatezze, tutte le malizie di canto, tutto lo spolvero teatrale che crederei dover esigere da una artista provetta, tutte cose che il più delle volte degenerano in manierismo, in affettazione, in impostura. E nondimeno la giovine Cazzaniga non manca di accennare qui e là che molto ben addentro ella sente ciò che costituisce la vera e buona eleganza del canto, e che alcune frasi di cantabile, alcune terminazioni del periodo melodico ella sa disegnarle con una spontanea finitezza non facile a potersi lodare in cantanti già da un pezzo abituali alle ampollose maniere e al falso genere di declamazione drammatica a’ giorni nostri venuto in tanta voga sulle così dette primarie scene liriche.

Solo che ho una giran paura che anche lei, madamigella Cazzaniga, in passando dai piccoli teatri ai grandi, dimettendo quella ingenua riserbatezza che rende sì caro e omogeneo il canto femminile, massimamente in alcune parti amorose e sentimentali, dimenticando i precetti d'una buona scuola, e contraendo tutte le funeste abitudini del cantar di mestiere, non devii dalla retta strada per gettarsi anche lei assieme alla turba al genere detto comunemente lirico-tragico, che meglio sarebbe chiamare con ben altro nome. E per essere franco e schietto dirò alla giovane artista, cui sono dedicate queste mie righe, che già qualche sintomo patologico di questa brutta malattia di moda... qualche indizio... certi slanci di voce un po’ sgarbatelli... Per ora non aggiungo altro, e solo le raccomando caldamente di porsi ben bene in mente questo aforisma dell’arte; se un cantante dramma-