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sita affabilità. Le ultime sue parole lasciarono nel mio cuore una profonda impressione, e me ne ricorderò sempre, spero, con riconoscenza.

«Mia cara miss Zenobia, mi disse colle lacrime agli occhi, posso io fare qualche altra cosa per cooperare al buon successo della vostra lodevole intrapresa? Vediamo! lasciatemi pensare! ... Forse voi non riuscirete convenientemente ad affogarvi, ed essere strangolata da un osso, o ad essere morsa... Oh! ma aspettate!... Ma sicuro!... Ed io non ci pensavo! Ma li ho io, nel cortile, due mastini selvaggi... Tom! e Peter!... In cinque minuti divoreranno voi, il vostro mantello, e tutto... Oh! benissimo!... e, mi raccomando, attenti alle sensazioni!...»

Ma siccome io avevo gran premura e non potevo perdere neppure un minuto, così fui costretta, con mio vivo dispiacere, a prender congedo più bruscamente, lo confesso, di quello che avrebbe voluto la stretta convenienza.

Mia prima cura, lasciato ch’ebbi il sig. Blackwood, fu quella di cercare una qualche singolare avventura, in cui cacciarmi, conformemente alle sue istruzioni, e quindi corsi tutto il giorno a traverso la città, nella speranza di imbattermi in qualche avvenimento strano e nuovo che rispondesse all’intensità dei miei sentimenti, e che mi permettesse di adoperarlo nell’arcolo di grande effetto che avevo in animo di scrivere.

Fui fortunata, e nel pomeriggio riuscii nell’intento. Fu allora che mi accadde l’originalissimo caso, di cui l’articolo alla Blackwood che segue, scritto nello stile eterogeneo, è la sostanza ed il risultato: