Pagina:Garrone-Ragazzoni - Edgar Allan Pöe, Roux Frassati, Torino, 1896.pdf/107

essi uscì fuori dalla mia testa, cadde ed andò a fermarsi nella grondaia che incominciava la cima dell’edificio.

Ma la perdita di quest’occhio non mi fece tanto effetto, quanto l’aria insolente di indipendenza, e di sprezzo, colla quale esso mi guardava. Era lì, nella grondaia, precisamente sotto al mio naso, e la sua tracotanza sarebbe invero stata ridicola, se non fosse stata rivoltante.

Mai avevo veduta una simile sfrontatezza! Questo contegno, da parte del mio occhio nella grondaia, era non solamente irritante per la manifesta insolenza, e per la vergognosa ingratitudine, ma altresì sconveniente in modo eccessivo pel fatto della simpatia che esiste fra i due occhi della medesima testa anche se divisi. Diffatti, io fui obbligata, malgrado la mia ripugnanza, ad aggrottare le sopraciglia, a strizzar l’occhio in armonia perfetta con quell’altro, scellerato, che giaceva sotto di me.

Fui sollevata da quest’oppressione solo quando se ne andò anche l’altro.

Egli, cadendo, prese (forse per premeditata intelligenza) la stessa strada del primo.

Tutti e due si fermarono, vicini, nella grondaia.

In quel punto la lama era entrata per lo spessore di quattro pollici e mezzo nel mio collo, il quale non era più attaccato al busto che da un sottile lembo di pelle.

Le mie sensazioni furono allora quelle dell’assoluta felicità! Io sentivo che, fra cinque minuti, sarei tolta dalla incomoda posizione in cui mi trovavo.