Pagina:Garrone-Ragazzoni - Edgar Allan Pöe, Roux Frassati, Torino, 1896.pdf/105


Da circa una mezz’ora io era immersa nella contemplazione dello spettacolo bellissimo, quando fui d’improvviso svegliata da qualche cosa di freddo che mi premeva dolcemente sulla parte superiore del collo!

Inutile dire la commozione intensa che ne risentii! Non poteva essere Pompeo che avevo sotto i piedi, non Diana, cui avevo ordinato di starsene seduta graziosamente sulle zampe di dietro, là giù, in un angolo. Cosa era dunque, Dio mio?

Ahimè! Non lo seppi che troppo presto! Voltando leggermente il capo, mi accorsi, con terrore, che l’enorme, lucente sfera (quella delle ore), come una scimitarra, nel corso della sua rivoluzione oraria, era discesa sul mio collo! Compresi che non c’era un minuto da perdere! Cercai di ritirare il capo. Troppo tardi! L’orrenda trappola, in cui la mia testa era stata presa, si rinchiudeva sempre più, con una rapidità che sfugge all’analisi. Non è possibile descrivere l’angoscia di un simile istante! Alzai le mani e provai con ogni mia forza di smuovere la barra di ferro! Inutile! Era come se avessi provato di muovere la cattedrale istessa!

E la lama scendeva, scendeva sempre!

Chiesi soccorso a Pompeo, ma egli mi rispose che lo aveva offeso, e che ben mi stava.

Inviai un grido supremo a Diana. Ella mi mandò un bow-vow-vow, che voleva chiaramente significare che io le avevo ingiunto di non muoversi.

Ogni speranza di aiuto mancava; ed intanto la pesante e terribile falce del tempo (compresi allora