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CAPITOLO LXIII.

COZZO, LIA ED I NOSTRI FERITI

E l’uomo, e le sue tombe, e l’estreme sembianze
E le reliquie della terra e del ciel
Travolge il tempo.
(Foscolo).


De questi affari no ve ne mescé,
Lasciè fa i frati, che l'e o seu mestè.
(Genova).


Dopo il 2 ottobre, il compito dell’esercito meridionale era finito, e non potendo far meglio, convenne lasciar fare a chi tocca. Io approfittai quindi della mia inutilità negli affari di guerra, per fare una visita ai miei fratelli d’armi feriti.

Ne ho già veduti dei cadaveri e dei feriti — in questa mia tempestosa vita — su varii campi di battaglia, e per fare un po’ come gli altri, ho cercato d’indurire il cuore alla vista delle stragi, delle mutilazioni, dei macelli umani!

Comunque, se indurito dall’abitudine, ho potuto contemplare con indifferenza i morti, anche numerosi, i sofferenti però m’hanno sempre commosso, e, se ho potuto, ho cercato di alleggerirne i patimenti.