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S. Angelo. Là vi era una vera marea di vincenti e di respinti. — Il nemico stimava l’importanza della posizione, chiave del campo di battaglia, e fece degli sforzi inauditi per impadronirsene. I soldati borbonici giunsero sui nostri pezzi varie volte, e s’impadronirono di due, che non poterono però conservare.

In tale accanita pugna io osservai il difetto «di far fuoco avanzando» prediletto sistema dei nostri nemici, a cui fu fatale in tutti gl’incontri dai volontari sostenuti; questi, all’incontro, coi soliti catenacci e colle loro cariche a fondo, senza fare un tiro, neutralizzarono la superiorità delle carabine nemiche, e vinsero sempre.

Mi si obbietterà: tale nostro sistema esser nocivo colle nuove armi di precisione, ed io dico con convincimento, essere più necessario ancora, col perfezionamento delle armi. — non si deve caricare il nemico nelle sue posizioni, o bisogna caricarlo celeremente sino alla mischia, colla coscienza di sfondarlo, senza di che si perderà molta gente, il morale dei restanti soldati sarà scosso, e si avrà il doloroso spettacolo di vederli tornare fuggendo e disfatti.

La pugna durò un pezzo al piede del monte S. Angelo, obbiettivo importantissimo, e varie volte i nostri valorosi capi dovettero ricondurre al fuoco i nostri militi, sopraffatti da masse imponenti e tenacemente decise.

Verso le ore 1 pom., non so per qual motivo, mancarono le munizioni, ed una desolante voce