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capitolo xlvi 273


sino all’ultimo sospiro, Bajaicò avea allungata la preghiera prescrittagli dal frate, non so se il pater noster, quanto avea potuto, e ne borbottava le ultime parole, quando il rumore della imminente tempesta ferì il suo orecchio, e Dio sa se piacevolmente. Presentendo soccorso dagli amici, valoroso sempre, egli fece uno sforzo supremo, che valse parte ad infrangere e parte a sciogliere i legami con cui lo avevano avvinto. Inerme come era, abbrancossi ai suoi carnefici, che armati cercavano di trafiggerlo in ogni senso. — Il suo sangue correva a ruscelli senza scemare il coraggio della difesa. — Egli pugnava, lottava disperatamente; si sa però, qual poteva essere il risultato del conflitto tra un solo inerme e tanti armati. — Il più robusto dei carnefici avea alzata la daga sulla testa dell’eroico ed infelice Bajaicò — se il ferro cadeva, era finita, ma un manrovescio di sciabola del prode ufficiale di Calatafimi recise il braccio del camorrista e salvò la vita al compagno.

Il parapiglia che successe in quel sotterraneo lo lascio immaginare al lettore. Colpi di daga da una parte e baionettate dall’altra fulminavano in quel poco decente recinto, ma presto la bravura dei figli della libertà ebbe posto in fuga i masnadieri.

L’inconveniente però era nell’andito per cui dovevano uscire i perseguiti, che si trovava angusto ed affollato da’ più codardi che avean procurato di preceder i compagni, cosicchè molti