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capo secondo 41


anche la moda. Sul senso di questa voce, dopo aver io molto tempo meditato, non ho trovato poterle dare altra definizione che questa: un’affezione del cerebro, propria alle nazioni europee, per cui si rendono poco pregevoli molte cose, solo perché non giungono nuove. È questa una malattia dell’animo, che ha l’impero sopra non poche cose; e, se vi si vuol trovar qualche ragionevolezza, bisogna dire che nasce in gran parte questa varietá di gusto dall’imitazione de’ costumi delle nazioni piú dominanti. Ma, poiché, ragionando, a dir della moda mi sono condotto, è al mio istituto necessario che i limiti dell’imperio di lei io definisca; il che io farò qui, per non averlo a fare in luogo meno acconcio. L’imperio della moda è tutto sul bello, niente sull’utile; perché, quando è in moda alcuna cosa piú utile e comoda, io non la chiamo «moda», ma migliorazione delle arti o degli agi della vita. Due classi ha il bello: altro è fondato sopra certe idee, che insieme coll’origine nostra sono nell’animo nostro scolpite; altro, benché nol paia, è solo un’assuefazione de’ sensi, che bello lo fa parere. Sopra questa seconda classe, che è piú vasta assai della prima, unicamente stende il suo potere la moda: quindi è che si conviene dire che la bellezza di alcune gemme, dell’oro e dell’argento sia sulla costituzione dell’animo nostro universalmente stabilita, non avendo mai alla moda in parte alcuna soggiaciuto, né potendovi soggiacere; onde il pregio loro sempre piú si riconosce grande e singolare. Però da questa forza della moda niuna delle mie osservazioni si muta; perché questa altro non fa che variar l’utilitá delle cose, variandone il piacere che si prova in usarle: tutto il resto è il medesimo.

Restami ora a dire del valore delle cose uniche e de’ monopòli, cioè o di quelle che non possono con altre esser compensate, come sarebbe la statua di Venere de’ Medici, o di quelle che per l’unitá del venditore diventano uniche. Ho frequentemente letto, anche ne’ piú savi scrittori, che queste merci hanno valuta «infinita»; ma, di tutte le voci, non trovo la piú impropria in bocca a chi delle mortali cose ragiona. Forse avran voluto dire «indefinita»; il che neppur è acconciamente detto: perché io reputo