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capitolo ix 47

     Come va ’l cervio, a cui giá venenosa
65è giunta la saetta, e move il corso
or qua or lá, e insin che muor non posa:
     cosí ed ella per aver soccorso
giva ad ognuna, e poscia lacrimando
deliberò a Diana aver ricorso.
     70E disse:— O dea, tu facesti il domando
ch’io rimanessi, e Iuno fu contenta;
ed io anche assentii per suo comando.
     Ed ora pare a me ch’ella si penta,
non so perché: e se fia mia partenza,
75convien che gran dolor mio cor ne senta,
     perché tu, dea, a me benivoglienza
hai dimostrata, e Pallia e Lisbena
e l’altre, con ch’i’ ho fatto permanenza.
     Però partir da loro a me è gran pena,
80ch’io amo ognuna come mia sorella,
e sopra tutte te, o dea serena.
     Però, ti prego, alquanto tu favella
a dea Iunon ch’io stia sino alla festa,
che ogni anno, come sai, si rinovella.—
     85Rispose a lei Diana:— Manifesta
tu fai te stessa: or sappi che colei,
di cui è sospetto, non è ben onesta.
     Vanne con la signora delli dèi;
ché s’ella mi dicesse ch’io v’andassi,
90sí come a Iove, a lei ubbidirei.—
     Per la vergogna tenne gli occhi bassi
la misera e pensava tutt’i modi
per rimanere e che nessun ne lassi.
     O Amor folle, che sí forte annodi
95l’amante con l’amato e sí li leghi,
che dentro consumando li corrodi!
     Quando si vide non valer li prieghi,
giva ansiando come fa la cagna,
a cui veder li suoi figliuol si neghi.