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capitolo viii 313

     Inginocchiato il pié diritto e il manco,
65come chi vuol intrar quivi far usa,
venne una ninfa vestita di bianco.
     Io percepetti ben ch’era una musa,
ché ’n capo avea d’alloro una grillanda;
e questa aprí a me la porta chiusa.
     70Tutti i bei fior, che Zefiro ne manda,
e tutto il canto della primavera,
allor che amor la compagnia domanda,
     nulla saríeno al canto che quivi era:
il lume di quel regno era sí accenso,
75che ogni luce di qua parría da sera.
     E, benché lo splendor fusse sí intenso,
non però quello i mortali occhi offende,
ma piú acuto fa il visivo senso:
     cosí l’occhio mental, quand’egli intende,
80si fa piú vigoroso e fassi forte,
quanto l’obietto visto piú risplende.
     Della Prudenzia pervenni alla corte;
e ben pareva la casa del Sole:
tanti splendori uscían delle sue porte.
     85Intorno al pian vid’io le grandi scole
de’ filosofi saggi e de’ poeti,
d’Apollo e di Mercurio santa prole.
     Pensa se gli occhi miei erano lieti,
vedendo di Parnaso il sacro monte,
90qual per veder sostenni fami e seti;
     vedendo intorno al pegaseo fonte
le nove muse, e di peneia fronda
incoronarsi le tempie e la fronte;
     vedendo lo stillar della sacra onda;
95udendo i dolci canti e le favelle,
a’ quai degno parea che ’l ciel risponda.
     Come dal sole è ’l lume delle stelle,
cosí dalla gran corte di Prudenza
venía la luce in queste cose belle.