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capitolo vii 309

     Ed ella a me:— Colui, che festa e riso
riceve qui per la vertú che vince,
or ora debbe andare in paradiso.
     Ed è concesso a lui che passi quince,
140che ’l suo valore a te sia manifesto:
chiamato fu ’l cortese signor Trince.
     Innanzi a quell’Urbano, il qual fu sesto,
sotto il vessillo scritto in libertade,
che servitú per chiosa ebbe nel testo,
     145tutte sue terre e tutte sue contrade
di santa Chiesa a lei volson le piante
e rivoltônsi con lance e con spade.
     Ma questo con pochi altri fu costante,
e tra quei pochi di costui apparse
150la fede ferma piú che diamante;
     tanto ch’egli per questo il sangue sparse,
drizzando a Dio il core e le sue mani,
che ’n liberalitá mai fûnno scarse.
     Per questo greci, dardani e romani
155l’aspergono di fior, come tu vedi,
e fangli festa in questi grati piani.
     — O sacra dea— diss’io,— se mel concedi,
andrò a lui, e reverente e chino
abbracciar voglio i sui amorosi piedi;
     160ché ’l suo figliol dal mondo pellegrino
quassú salir mi mosse: egli mi manda:
per lui messo mi son in ’sto cammino.
     — Consentirei— respuse— a tua dimanda;
se non che su nel ciel tu ’l trovarai,
165se il core e tua vertú tanto insú anda.—
     In questo sopra lui disceson rai,
quali il sol la mattina all’oriente
intensi manda li splendor primai.
     Li tre colle grillande prestamente
170insieme in compagnia a lui n’andâro,
facendo via a lor tutta la gente,