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capitolo xiii 159

     La quarta er’alta insino onde percote
con le saette Iove, ove il vapore,
30dal gel costretto, da sé l’acqua scuote.
     La terza d’ogni lato era minore,
e le seconde poi minor che quelle;
e minime eran poi quelle di fuore.
     Nella metá le ruote paralelle,
35dico nella metá, ch’alla ’nsú monta,
erano orate e preziose e belle.
     Ma l’altra parte, quando su è gionta,
giú vien calando a quella donna dietro;
quanto piú cala, piú del mal s’impronta
     40e fassi oscura; e da quel lato tetro
descender vidi molti a capo basso
con gran lamento e doloroso metro.
     Poiché caduti son con gran fracasso,
ogni amico li fugge e li dispregia:
45chi li sospinge e chi lor dá del sasso.
     Ma alli salenti dalla parte egregia
ognun si mostra amico ne’ sembianti:
chi li losinga e chi di loda ’i fregia.
     Come da due nel carro triunfanti
50mescolato era il dolce con l’amaro,
usando inver’ di lor contrari canti,
     cosí su ad alto e giuso due cantâro
nel colmo delle rote e due di sotto,
un d’allegrezza e l’altro del contraro.
     55La dea Minerva giá m’avea condotto
sino alla donna, che voltava il giro:
allor parlò, che pria non facea motto.
     E disse:— Io, che a basso e ad alto tiro
le sette rote, son la dea Fortuna
60e solo a quei dinanti lieta miro.
     Nullo su ad alto aggia fermezza alcuna
in me di securtá ovver fidanza,
ch’io mostro faccia chiara, e quando bruna.