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ultime lettere di jacopo ortis 283


io pure, e senz’avvedermi la seguitava, calcando dietro le sue péste la neve. Giunta a un mucchio di ghiaccio, si fermò cercando con gli occhi un altro sentiero; ed io, raggiungendola: — Andate lontano, buona ragazza? — Signor mio, no; niente piú di mezzo miglio, signore. — Parmi che i fasci vi pesino troppo: lasciate che ne porti uno anch’io. — 1 fasci tanto non sarebbero di sí gran peso, se potessi sostenermeli su le spalle con tutte due le braccia; ma questi pani m’intrigano. — Or via, porterò i pani, dunque. — Non rispose, ma si fe’ tutta rossa, e mi porse i pani, ch’io mi riposi sotto il tabarro. Dopo breve ora entrammo in una capannuccia, in mezzo la quale sedeva una vecchierella con un caldano fra i piedi, pieno di brace, sovra le quali stendeva le palme, appoggiando i polsi su le estremitá de’ginocchi. — Buongiorno, buona madre. — Buongiorno. — Come state, buona madre? — Né a questa, né a dieci altre interrogazioni mi fu possibile di trarre risposta, perch’essa attendeva a riscaldarsi le mani, alzando gli occhi di quando in quando, per vedere se eravamo ancora partiti. Posammo frattanto quelle poche provvisioni, e a’ nostri saluti e alle promesse di ritornare domani, la vecchia non rispose se non se un’altra volta quasi per forza: — Buongiorno. —

Tornando a casa, la villanella mi raccontava che quella donna, ad onta di forse ottant’anni e piú e di una difficilissima vita, perché talvolta avveniva che i temporali vietavano a’ contadini di recarle la limosina che raccoglievano, in guisa che vedevasi sul punto di perire di fame, tuttavia tremava ognor di morire, e borbottava sempre sue preci perché il cielo la tenesse ancor viva. Ho poi udito dire a’ vecchi del contado che da molti anni le morí di un’archibugiata il marito, dal quale ebbe figliuoli e figliuole, e quindi generi, nuore e nipoti, ch’essa vide tutti perire e cascarle l’un dopo l’altro a’ piedi nell’anno memorabile della fame. Eppur, caro amico, né i passati né i presenti mali la uccidono, e brama ancora una vita che nuota sempre in un mar di dolore.

Ahi, dunque, tanti affanni assediano la nostra vita, che a mantenerla vuoisi non meno che un cieco istinto prepotente,