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186 ii - vera storia di due amanti infelici


venne atterrato. Dio mio! quale atroce spettacolo fu mai quello! Giaceva tutto intriso ed inzuppato nel proprio sangue, che a rivi gli sgorgava da una profonda e larga ferita, vicina al cuore. La sua bocca, spumante di sangue, orrendamente si contorcea; una fierissima convulsione gli agitava tutte le membra. Stralunava gli occhi, tentando d’aprirli alla luce, e poi di nuovo con spaventosi sguardi li chiudea. Dopo brevi minuti cominciò poco a poco ad indebolirsi; la sua faccia divenne piú pallida e smorta, ma serena e tranquilla. Io lo sosteneva, singhiozzando, fra queste mie braccia, ed ei mi stringeva languidamente una mano, e parea che l’appressasse al suo cuore. La costernazione era dipinta in tutte le fronti e negli occhi de’ circostanti, che fra un tetro silenzio, non osando aprir bocca, si guardavano alternamente fra di loro con i gesti piú espressivi del dolore e dello spavento. Alcuni, prostrati a terra, levavano le mani al cielo, mormorando bassamente divote preci. Altri si coprivano colla destra il sembiante quasi per orrore; e chi mesto asciugavasi gli occhi e di nuovo piangeva, e chi meco pietoso si univa per dargli alcun soccorso e sostenerlo. Iacopo appena respirava; non uscivagli piú sangue dalla bocca, né piú provava le violenti scosse di quell’orrida convulsione; giá giá gli si vedeva la morte sugli occhi semichiusi e nell’immobile suo corpo. Ma qual fu mai la comune sorpresa, allor ch’egli ad un tratto, aprendo i smorti labbri, balbettò confusamente qualche parola? Ben tutti si scossero da’ loro tristi atteggiamenti, e, circondando lo spirante Iacopo, pendevano attenti ad ascoltarlo. Ma non vi fu chi l’intendesse, ché troppo era fioca e tremante la voce. Il rugghio poi del tuono assordatore e ’l fragoroso scoppio delle stridenti saette rompevano il lugubre silenzio, che regnava in quella stanza. M’accorsi però ch’esso allungava una mano verso la finestra rimpetto alla quale giacea, sollevando a grave stento la testa e facendo pur forza di tenervi fissi li deboli sguardi. Io, che si ben conosceva il suo genio, fei cenno che tosto s’aprisse il balcone, onde per l’ultima volta mirasse la faccia della natura. Non s’era vista giammai notte cotanto spaventosa. O forse il dolore e la pietá ce la dipinsero tale agli occhi nostri! Passeggiavano a cento a cento i raggruppati nugoli per l’aria bruna, fredda e agitata dalla rabbia de’ venti, che si scagliavano poi, romorosi ed assieme lottando, sopra il vicino torrente; e il cielo, ora tutto negro e tenebroso, appariva in un momento fiammeggiante e tutto di foco. Iacopo, alzando un poco i suoi moribondi lumi, stese, con