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180 ii - vera storia di due amanti infelici


Un’ora dopo la mezza notte, una flebile voce mi riscuote dal sonno e mi chiama. Mi desto, veggo ai raggi di luna, che trapelavano dalla finestra, il giovane amico, mezzo ignudo, coi capelli ritti, pallido ed atterrito, abbracciarmi.

— Oh Dio! che avete?

— Ella mi persegue!... mi afferra. Non la vedete... lá...?

— Chi mai?

— Teresa stessa!

— Iacopo! Iacopo! e fin dove v’affascinano ed acciecano le vostre folli illusioni? Per pietá calmatevi: siate ragionevole e filosofo. —

Egli mi narrò che, dopo aver scritto alcune cose (né giá mi disse quai fossero), si era gettato nel letto. Caduto in un funesto assopimento, pareagli di vedere la sua Teresa, non piú bella e ridente, ma languida e scontrafatta giacersi in una bara funebre. Essa, alzando la testa, lo guardava cupamente, e poscia ricadea senza parlargli. Iacopo se le accostò, ed ella gli strinse con gelida mano la sua destra, e: — Qui — gli diceva — la tua cieca passione mi ha spinto. — Frattanto l’inseguiva, né giammai lo lasciava. Svegliossi, è vero; ma l’infiammata fantasia sempre gli dipingeva quell’immagine lugubre davanti a’ suoi occhi. Ecco l’orribile sogno che lo spaventò.

Io, per certo, non mancai di porre in opra tutti quei mezzi, che l’amicizia mi suggeriva per consolarlo. Pregai, piansi, ed ei si commosse. Udiva le mie ragioni con pace, e si mostrava meno sbigottito. L’apparir dell’alba rosseggiante, che spargeva un’aura fresca e serena, lo innondò di una soave tristezza. Non si saziò giammai quel mattino di guardare estatico le bellezze della natura; ma le stanche ciglia si chiudeano suo malgrado. — Prendi, amico, un momento di quiete e di riposo. Io te ne priego per l’amicizia nostra; e sa il cielo s’io t’amo! — dissi; ed egli, sospirando: — Via, — mi rispose — non affannarti: obbedisco. — E si chiuse nella sua camera. Prima di riposare, scrisse:


Per l’ultima volta io ti saluto, o vezzosa aurora. Piú non vedrò la tua faccia soave rallegrar la natura ed avvivar le erbe fresche e i dipinti fiori. Non berrò piú l’aura del mattino, raccogliendo le umili violette o le vergini rose. Fu giá tempo, ch’io, troppo felice, le offriva devotamente a Teresa; ed ella, arrossendo, mi