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Ma la lettera, con la quale Odoardo, giá arrivato in Toscana, annunciava il suo imminente ritorno, scopri a Teresa l’orribile situazione in cui tutti e due si trovavano. Ne sospettò quand’egli, leggendola, cangiò di fisonomia; ma, vedendolo da quel giorno in poi sempre malinconico e silenzioso, se ne accertò. La sua salute, che giá andava struggendosi lentamente, giacque abbattuta dal dolore: Teresa piangeva in secreto, ma non osava fargliene parola.

La mattina de’ 26 maggio, andò per tempo a trovarla: sedeva muto, ed ella lavorava. Dopo molta ora s’alzò, la guardò fissamente e parti: né si lasciò piú vedere per tutto quel giorno. Michele, che lo aspettava a pranzo, lo cercò invano per quei contorni sino alla sera: Iacopo non tornò a casa che verso la mezzanotte. Mandò a dormire il ragazzo, dicendo che si sentiva bisogno di riposare: invece scrisse.

LETTERA XLIV

Mezzanotte.

Io porgeva alla Divinitá i miei ringraziamenti e i miei voti; ma io non l’ho mai paventata. Eppure, adesso che sento tutto il flagello della sventura, adesso la temo e la supplico.

Ma non per questo le ho dato gli attributi, di cui la vile superstizione, l’avara impostura e il fanatismo sanguinario l’hanno vestita, per rendere meno orribile la tirannide e opprimer piú gli uomini, acciecando il loro intelletto e prostrando il lor cuore.

È vero! gl’infelici hanno bisogno di un altro mondo, diverso da questo, ove mangiano un pane amaro e bevono l’acqua mescolata alle lagrime. L’immaginazione lo crea e il cuore si consola. La virtú, sempre infelice quaggiú, persevera con la speranza di un premio. Ma sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno bisogno della religione.

Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquá..., perché sentiva che la mano di Dio pesava sopra il mio cuore.