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lettera xxx 119


lagrime di un uomo compassionevole sono piú dolci degli effluvi della rugiada che fecondano il seno della primavera?

O Lauretta! io piansi con te sul sepolcro del tuo povero amante, e mi ricordo che la mia compassione temprava l’amarezza del tuo dolore. T’abbandonavi sul mio seno, e i tuoi biondi capelli mi coprivano il volto, e il tuo pianto bagnava le mie guance: poi traevi un fazzoletto e m’asciugavi; ed asciugavi le tue lagrime, che tornavano a sgorgarti dagli occhi, e scorrere, e posarsi su le tue labbra sfiorite. — Abbandonata da tutti!... — Ma io no, non ti ho abbandonato mai.

Quando tu erravi fuor di te stessa per le romite spiagge del mare, io seguiva tacitamente i tuoi passi per poterti salvare dalla disperazione del tuo dolore. E ti chiamava a nome, e tu mi stendevi la mano e ti sedevi al mio fianco. Saliva in cielo la luna, e tu, guardandola, cantavi un inno all’Eterno; e le preci del mio cuore accompagnavano la tua mesta armonia: — A Dio sono accetti i voti e i sacrifici delle anime addolorate! — I flutti gemeano con flebile fiotto e i venti, che gl’increspavano, li spingevano a lambir quasi la riva dove noi stavamo seduti. E tu, alzandoti appoggiata al mio braccio, t’indirizzavi a quel sasso, ove ti parea di vedere ancora il tuo Eugenio, e sentir la sua voce e la sua mano e i suoi... baci. — Or che mi resta? — esclamavi; — la guerra mi allontana i fratelli, e la morte mi ha rapito il padre e l’amante. Abbandonata da tutti!... —

O bellezza, genio benefico della natura! ove mostri l’amabile tuo sorriso, scherza la gioia, e si diffonde la voluttá per eternare la vita dell’universo: chi non ti conosce e non ti sente, incresca al mondo e a se stesso. Ma, quando la virtú ti rende piú vereconda e piú cara, e le sventure, togliendoti la baldanza e l’invidia della felicitá, ti mostrano ai mortali coi crini sparsi e spogli delle allegre ghirlande..., chi è colui che può passarti d’innanzi e non altro offrirti che un inutile sguardo di compassione?

Ma io t’offriva, o Lauretta, le mie lagrime e questa capanna dove tu «avresti mangiato del mio pane e bevuto nella mia tazza». Tutto quello ch’io aveva! E meco forse la tua vita, sebbene non