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lettera xv 99


salutando, mentre sortiran dalla chiesa, i curvi villani, giá miei compagni ne’ di che la gioventú rinvigoriva le nostre membra, e compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno recato gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nepotini, o a quei di Teresa, che mi scherzeranno d’intorno. E, quando l’ossa mie fredde dormiranno sotto questo boschetto omai ricco ed ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico sussurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de’ morti1 pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, raccomandandone la memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrá a ristorarsi dall’arsura di giugno, esclamerá, volgendosi alla mia bassa tomba: — Egli innalzò queste fresche ombre ospitali!

LETTERA XV

31 novembre.

Stamane me ne andava per tempo alla villa, ed era giá presso alla casa di Teresa, la quale suole destarsi col sole, quando mi ha fermato un lontano tintinnio d’arpa. Mi sono tosto avveduto che la nostra amica svegliava l’armonia, chiamandola quasi confortatrice e compagna de’ suoi mesti pensieri. Oh! io mi sento sorridere tutta l’anima e scorrere in tutto me stesso la voluttá che allora m’infondeva quel suono. Esagero forse? Tu, che l’hai prima di me conosciuta, o Lorenzo, tu puoi ben dire

che a ben laudarla lagrimar conviene:

ed io non iscrivo che a te solo.

Certo ch’io non potrei né asserire né negare a me stesso ch’io l’amo; ma, se mai..., se mai..., davvero non d’altro che

  1. Chiamata da’ contadini la campana del De profundis, perché, mentre suona, sogliono recitar questo salmo per le anime de’ trapassati. L’editore [F.].