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386 caos del triperuno


Ad un altro Alberto da Carpo

di tal nome indegno

limerno

Caro germano, potriati facilmente pervegnire a le orecchie che, favoleggiando noi, Fúlica e Triperuno insieme, ed io con loro, de la miracolosa dottrina de uno asino, mi occorse adducerti in testimonio o sia esempio di coloro li quali, non sapendo parlare, si intromettono temerariamente fra gli saputi e savi uomini a ragionare de li altrui fatti e costumi, volendosi elli con lo biasmar altri mostrarsi di qualche onore e reputazione degni. E perché tu da me ti chiamarai forse oltraggiato essere e vituperato, ti rispondo, nanti tratto, che con l’altre tue bone condizioni matto ancora ti mostrarai, quando in te non voglia patire quello che in altro giammai non cessi adoperare, io dico ne l’altrui fama e onore. Dimmi, uomo dappocaggine che tu ti sei, con che ragione, con che giustizia, con qual caritade tu con quell’altro che fiorentino si fa, Sebastiano «puzzabocca», e con altri toi simili furfanti, a li quali ben sta quella sentenzia del mio barbato Girolamo: «Possident opes sub paupere Christo, quas sub locuplete diabolo non habuerint»; per qual, dico, necessaria cagione non mai vi straccate di cercare far danno ne la fama ed onore del giovene innocente Triperuno? in che cosa egli vi offende, diavoli che voi siete? Ah maladetta rabbia di questa invidia! come se indraca piú, come se invipera nel sangue innocente, perché sa, perché vede lui aver posseduto di libertade lo paradiso terrestre, de lo evangelio la luce anti smarrita, d’un Orso mansuetissimo la grazia! Roditi dunque da te istessa, o conscienzia diabolica, la quale, per tua soperbia, lo perduto seggio a l’uomo esser donato vedi! Lasciatelo stare in vostra