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selva terza 341


scorgi la man non piú cruda, rapace,
non piú del mondo posta in servitute;
la man che particella, se ’l ti piace,
scriver desia de l’alta tua vertute,
la quale d’ogni senso uman capace
mi ricondusse al poggio di salute,
e nel tuo nome pareggiar vorria
mio basso stile un’alta fantasia.

TRIPERUNO


Il grave sonno, in cui m’era sepolto [Omnium honestarum rerum ignava perditaque neglegentia.]
quanto di bono vien dal primo cielo,
ruppemi orrendo grido, qual in molto
scoppio far sòle il fulgurante telo.
Apro le ciglia e, quando ebbi distolto
da’ sensi un puoco l’importuno velo,
dritto m’innalzo, guato e nulla veggio,
perch’era il mondo ancora d’ombre un seggio.

Anzi né ciel né terra né ’l mar era,
né averli mai veduto mi sovvenne;
non verno, estate, autunno, primavera,
non animai de’ peli, squamme o penne;
non selve, monti, fiumi, non minera
d’alcun metallo; non veli né antenne,
mercé ch’era del Caos in la massa
d’ogni ombra piena e d’ogni lume cassa.

Né piú sapea di me stesso, né manco
di chi vaneggia in forza di gran febre, [«Consuetudo cui non resistitur facta est necessitas». Aug.]
star o insensibil pietra o trar del fianco,
aver maschile o sesso muliebre,
esser o verde o secco o negro o bianco:
sí m’eran folte intorno le tenèbre!
Pur sempre non vi stetti, ma ecco d’alto
un sol m’apparve, onde ne godo e salto.