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selva seconda 321


«Bruggia la terra il lino col suo seme», [«Urit enim lini campum seges». Virg.]
disse cantando il mantoan Omero.
Perché un verso non gionse a dir piú intiero?
Del lin cosa non è ch’un cor piu creme!
Quel lino, che le man vostre medeme
dopo il grato sudor, donna, mi diero,
tessuto l’ha (chi ’l nega?) il crudo arciero:
tanto m’incende l'ossa e ’l cor mi preme!
Vi lo rimando. Ahi! rimandar non posso
l’ardor però, ch’ogni or sta ’n le medolle,
né umor di pianto v’ha che giú mil lave!
Ma prego Amor, sí come incender volle
tutte le mie, che almanco roda un osso
in voi, o di mia vita ferma chiave!

Piacquevi cotesto bel soggetto, o padre eremita?

Fúlica. Molto aggradisce l’umana generazione questa vocale musica.

Limerno. Or segui, Triperuno.

Triperuno. Dirò io alquante parole d’un oroglio di vetro, con lo quale mediantovi una tritissima rena si misura d’ora in ora lo tempo.

Pensarsi non sapea piú agevolmente
cosa che d’uman stato avesse imago
d’un fragil vetro in vista cosí vago,
che libra il tempo a polve giustamente.
Vedi le trite rene come lente
filan e’ giorni pel foro d’un ago,
e fan col fiume or quello or questo lago
in doi grembi, s’altrui volge sovente!
Ma cotal opra tosto va in conquasso, [«Non est, crede mihi, sapienti dicere. Vivam | Sera nimis vita est crastina: vive hodie». Mart.]
se avvien che fra doi vetri a la giuntura
quel debil filo e cera si dissolve.
O forsennato, chi d’aver procura
in terra stato, sendo un vetro al sasso,
al foco molle cera, al vento polve!

T. Folengo, Opere italiane 21