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312 caos del triperuno


un boschetto, lo quale assai vicino era a la grotta mia, ne andai. Camminando dunque noi con lenti e tardi passi verso il delettevole boschetto: — Deh! — dissi allora, — caro mio Liberato, giá fussi io morto in culla! ché, poi ch’io mi sono dato a gli vani studi de la naturale filosofia, a cercare di conoscere le proprietadi de le cose a noi occulte e impenetrabili, non ebbi mai l’animo mio tranquillo né quieto, ed ora piú che mai l’ho travagliato e de vari e diversi pensieri tutto ripieno e distratto. Io non veggio omai quello che per me si debba adoperare o credere: perché, se veraci sono gli evangelici dottori e se parimente li sottili e tenebricosi maestri in teologia e nostri sofisti dicono il vero; se li pontificali decreti ovvero umane leggi, che vogliamo dire, ligano o ligar possiano le nostre coscienze; ed oltra di questo se alcuni altri dottori moderni non sono né capitali nemici de la vera fede né bugiardi, ma hanno la veritá ritrovata; a cui crederò io? a cui prestarò fede? Nel vero, io non comprendo come tutti non possino errare sí come coloro che omini sono, né mi può entrare nel capo come a tutti egualmente noi debbiamo o possiamo credere. O miseri cristiani! ov’è fuggita la ferma fede e piena di credenza de li venerabili patriarchi, de gli santi profeti, de’ poveri apostoli e de tutti i nostri maggiori? Oimè! donde sono tante e sí diverse openioni? donde sí contrarie sètte e sí ripugnanti? onde tante vane quistioni? onde tante liti ed empie contenzioni? Se una è la fede e uno battesmo, poscia che è uno sol Dio e un signore e fattore de tutte le cose, cosí invisibili ed incorporee ed eterne come ancora de le visibili e corporee e mortali, perché dunque siete voi tra voi tutti divisi? — Non cosí tosto quelle poche parole ebbi detto, una asinina voce, subitamente rumpendo lo aere, con soi pietosi accenti percosse le nostre orecchie.

Limerno. Ditemi la veritá, Fúlica.

Fúlica. Io son presto.

Limerno. Donde veniti?

Fúlica. Da Perissa. Per qual cagione questo mi domandi?

Limerno. Le parole vostre mi sapiono di Carossa: baldamente che Merlino vi ha retenuto ne la catena sua! non gli è