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CAPITOLO SECONDO


1
Dammi perdono, priegoti, Cupidine,
s’or ti biasmai con la tua madre Venere:
so ben che mai, senza vostra libidine,
possibile non è ch’uomo s’ingenere.
Tu sei degno d’onor e di formidine;
ché senza te saria giá ’l mondo in cenere;
onde, talor s’io straparlassi, tollera;
la colpa non è mia, ma de la collera.
2
Anzi ringrazio te, gentil gargione,
che m’hai fatto baron di gran nomanza:
ho sempre un centinaio di persone,
boni da stocco ed ottimi da lanza;
giammai non mi si parton dal gallone,
e fra lor grido al cielo: «Franza, Franza!»;
la qual, senza passar tant’alpe o piano,
con un trattato presi a Cunniano.
3
Godea ’l spagnuolo, che sotto Pavia
fatt’ha prigion di Franza sí alto roy;
ed io nel grembo a Caritunga mia
ho preso tutta Franza per ma foy.
A che voler Italia in sua balía,
passando or Adda or il Tesin ed Oy?
Venite ad me, signores; faciam todos
baron di Franza e cavalier di Rodos.