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selva seconda 269


puzzolente, tu, Limerno mio, sin a gli occhi ti vi sei lordamente voltato. Però lasciamo, pregoti, questo soprabbondevole ragionamento in disparte, ché tu ed io abbiamo in ogni modo strabocchevolmente errato.

Limerno. Io tolsi lo nome solamente di Pitocco per dire un tratto lo mio concetto.

Merlino. Ed al soggetto, qual è quello, non accascava se non malagevolmente il nome di Pitocco, ed anco dedicarlo a un signore non si doveva.

Limerno. Orsú dunque, lasciamo, Merlino caro, le dette tra noi ingiurie, e siamo amighi come prima. [Bacchus et Amor, crapula et vanitas, osculatae sunt.]

Merlino. Fa’ come ti pare.

Limerno. Ma vorrei da te una grazia sola, caro mio Cocaio, impetrare: non mi la negare, pregoti, se ’l bottazzo non mai ti si parti dal gallone.

Merlino. Tu non pòi fallire di domandarmi, ché a me stará poi, parendomi, darti.

Limerno. Non ti voler piú oltra con esso meco turbare se un mio concetto, aúto giá molti mesi, ora sono per scoprirti...

Merlino. Con la lingua di’ pur ciò che ti pare, ma tacciano sopra tutto le mani.

Limerno. Non vi è pericolo, mediante fra noi lo fiume, di conflitto alcuno, Merlino caro. Ma taci, prego: non odi? Conosco la dotta mano, conosco lo novo Anfione, conosco lo mio Marco Antonio, o mirabilissimo musico, ché ben quella virtude a la gentilezza d’un tal animo degnamente conviene. Non odi tu lo accomodatissimo ricercare d’un laúto? Costui discese da Vinegia, di tutta Italia nutrice. Egli per doi giorni s’è dignato qui fra noi dimorare. Or ascoltamolo, ti prego: egli [Biduo tantum in vanitatis loco retentus est.] ancora non ci ha veduto, e men voglio che ci lasciamo da lui vedere, acciò lo rispetto suo verso de noi cessare nol faccia da sí dolce impresa.