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228 caos del triperuno



Qui la piú bella, onesta, saggia, umile [Omnium miraculorum praestantissimum est quum virgo sine floris verginei detrimento Deum hominem parit, qui complectens universum angusto praesepio patitur includi.]
donna che mai Natura, col sopremo
suo sforzo e col di rado usato stile,
finger potesse in questo ben terreno,
avea sul strame, in loco abbietto e vile
(trovavasi al bisogno troppo estremo)
riposto un suo nasciuto allor infante,
nudo, a la rabbia d’aquilon tremante.

E se d’un bianco e liggiadretto velo,
levandosi ’l di testa, non fatt’ella
qualche riparo avesse al crudo gelo,
pensato avrei che ’l parvolino in quella
paglia mancar dovesse, e lui, che ’n cielo
volge coi giri soi ciascuna stella,
stringesse la stagion orribil: tanto
prender gli piacque di miseria il manto!

Con quel contratto volto ed alto ciglio
ch’alcuno mira cose strane e nove,
stavami prono a contemplar quel figlio,
sí di me stesso for, che men del bove, [«Cognovit bos possessorem suum et asinus praesepe domini sui, Israël ante me non cognovit». Esaias.]
de l’asinello men, ebbi consiglio
di riconoscer lui che ’l tutto move
essersi carne fatto, non per boi,
non altri bruti, no, ma a servar noi.

Un for di stile e d’uso uman sembiante,
una celeste angelica figura
di quel nasciuto allor allor infante
fu, ch’al veder mi tolse ogni misura.
Ché s’al visibil sol non è costante,
or che al divin potea nostra natura?
Bench’era in carne ascoso, pur non pote
di fora non aver de le sue note.