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capitolo settimo 133


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Berta, che d’una lepre in foggia vive,
la qual sempre de’ cani sente o pare
sentir le voci e pensa ove lor schive,
e vede il leporin a sé scampare,
la faccia di pallor tutta si scrive,
gridando al figlio: — Chi ti fa trottare,
dimmi, caval balzano? e donde fuggi?
perché, fígliuol sfrenato, mi distruggi?
41
qual occhio è quello e muso che riporti
livido sí, che parmi un saraceno? —
Rispose Orlando: — Vòi tu che sopporti
le bastonate altrui né piú né meno
s’un mastin fussi? tanti e tanti torti
ognor fatti mi sono, e nondimeno
soffersi lor, se non testé c’ho franto
lo figlio del signore tutto quanto.
42
Le bòtte mai non son per comportare;
de le parole pur men passarei;
trovo distanzia assai dal dir al fare;
non siamo né anche turchi né giudei:
sol gli asini si ponno bastonare:
se una tal bestia fussi, patirei;
ma son un uomo ed uomo esser intendo;
e chi dieci men dá vinti ne rendo.
43
Voi ne darete (chiama lo Vangelo)
cento per uno, e cosí far debb’io:
e chi mi rumpe o pur mi torze un pelo,
il collo torzo a lui come vòl Dio;
e se de le scritture, anzi del cielo,
si mette a interpretar il senso pio
ogni frate scapocchia ed ignorante,
anch’io poterlo far io son bastante. —