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Ben l’odi tu, ma d’ammutir ti figni
né del mio strai paventi la percossa:
porco che sei, nel brodo il griffo tigni,
e Lazar volontier correbbe Tossa!
Ecco nei cani tuoi, che men benigni
non son che crudel tu, natura è mossa,
ch’ove par lor che d’ impietá t’appaghe,
essi leccar gli van le brutte piaghe! —
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Cosi quel spirto ingrato risospinto
di sua caduca e puzzolente scorza,
da fame, febre, freddo e fiamme cinto,
or sempre piagne, e ’l pianto non ammorza
(perché ne sparga un fiume) l’inestinto
mordace fuoco, quando che piú forza
gli dia Torribil pece e il negro solfo
piú che vi ondeggia il lagrimoso golfo.
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E per maggior sua doglia gli è permesso
puoter vedere in porto i buon nocchieri :
conosce Abramo, e gli altri, e Lazar desso,
non conosciuto al tempo de’ piaceri,
malvagio si che gli negò ben spesso
d’ al men fra le scutelle over taglieri
co’ cani l’unto avere, e col letame
de la cucina spegnersi la lame.
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Frem de lontano e grida: — O padre Abramo,
deh, moviti a pietá che pur mi vedi,
che m’odi pur, se mentre i’ ardo e chiamo
son fioco e cotto, aimè! da capo a piedi,
se per la sete il mar berrei, s’io bramo
fra questi eterni miei pungenti spiedi
una stilletta d’acqua che m’estingua,
estingua no, ch’umettimi la lingua!