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un nuovo poeta romanesco. 19

Peppetto, impietosito, esce a dire:

     Ma invece Dio de mannà er fijo a morte
Pe curr’appresso ar monno che scappava,
Perché, dich’io, nu’l’ha tenuto forte?
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Pe’ me, s’a un fijo je volessi bene,
Io nun potrebbe condannàll’a morte,
E mannàllo a suffrì tutte ste pene.

(xv e xvi.)

E neppure il curato sa dargli torto.

A queste e altre simili considerazioni morali, che si affacciano alla mente di chiunque legga col lume della ragione il catechismo del Bellarmino, e che l’autore ha saputo presentarci, come richiedeva il suo assunto, in modo affatto popolare, altre ancora se ne aggiungono tutte ridicole, che servono benissimo a variare e rallegrar la materia, per sè stessa alquanto monotona. A tal fine, il nostro poeta ha cavato eccellente partito dalle qualità proprie de’ Romaneschi, e particolarmente da quella tanto spiccata in essi, di ravvicinar bruscamente le cose più disparate, senza punto badare ad alcuna legge di luogo, spazio, tempo o convenienza. Così, per esempio, Peppetto, leggendo nella dottrina che Gesù «in cielo era nato di padre senza madre,» ci resta intontonito, e osserva:

     ’Na donna sì.... nun è ’na cosa rara
Che facci un fijo senz’avé marito,
Com’è successo lì a la sora Sara
Che jeri a l’improviso ha partorito