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di memoria ci si aspetta prima di conoscerne il disegno, poi l’esecuzione e il risultato, lo scrittore deve prima enunciare la sua opinione sul disegno, e poi narrando l’esecuzione dichiarare non solo ciò che è stato detto o fatto, ma anche in che modo; e quanto al risultato, elencarne le cause tutte, o il caso o le prudenze o le temerità dei personaggi; infine non solo raccontare le imprese, ma se essi eccellono per fama o per nome, studiarne la vita e l’indole. Lo stile e il genere del discorso deve essere «fusum atque tractum», scorrevole con una certa misurata dolcezza; senza quella asprezza e quelle punte maligne proprie dell’eloquenza forense».1

È facile riconoscere nel munus oratoris di Cicerone, quella che noi chiamiamo la storia artistica, ascritta alla famiglia dei più nobili generi letterari, e contrapposta per questo, allora come ora, alla nuda e asciutta cronaca dei fatti positivi, sollecita solo di raccontare con una certa minuzia. La storia artistica entrò tardi in Roma, dove per lunghi secoli la rude annalistica aveva signoreggiato senza rivali, d’accordo con la tenace diffidenza dell’aristocrazia per tutte le forme dell’intellettualismo greco. Il maggior numero degli storici più antichi, di cui la tradizione ci ha trasmesso i nomi, appartiene all’annalistica. Ma se la storiografia artistica entrò così tardi a Roma, quando Roma, maturata ormai al dominio da una lunga esperienza di guerre, di contese politi-

  1. De Oratore, II, 15.