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rono l’antica venerazione per l’affrescatore delle prime glorie di Roma. E le trombe romane squillarono ancora dinnanzi al mondo, per celebrare il trionfo dello Stato degli uomini!

Senonchè dallo Stato umano, che vinse lo Stato teologico tra la fine del Settecento e il principio dell’Ottocento, sta svolgendosi ora lo Stato satanico; lo Stato nemico di Dio e degli uomini, della giustizia e dell’onore, della pace e dell’ordine, della verità e della legalità; lo Stato criminale, predatore, sanguinario, corruttore, neroniano, cinico, sofista — e sfrontatamente vano della propria ribalderia, come di una forza gloriosa. Il melanconico e solitario filosofo dell’Albergaccio l’aveva intravisto, in quella sua smania di «andar dietro alla verità effettuale della cosa»; era stato lì per lì tra abbagliato e inorridito; l’aveva guardato, aveva chiuso gli occhi, aveva guardato di nuovo. La perversione dei tempi magnifica oggi questa sua, tra inorridita e ammirante, intuizione dello Stato satanico, come una mirabile anticipazione di un genio profetico: oltraggio indegno alla tormentata e nobile figura di quel grande ma ingenuo pensatore che, disgustato dai suoi tempi, in qualche momento di esasperazione, aveva dimenticato questo principio elementare di ogni consenso civile: che più forte è la tentazione e maggiore la facilità di violare una legge morale, più risolutamente è necessario affermare e sostenere l’obbligo universale di osservarla: se no «la verità effettuale della cosa» diventa il vestibolo della più selvaggia anarchia.