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diario

su quelle tre civiltà che convivevano gomito a gomito senza fondersi, racchiuse in se stesse, opponendo l’una all’altra la gloria delle proprie memorie. Ma non riuscivo lo stesso a godere a Roma di quel benessere che cantò Goethe nelle sue elegie. Forse i viaggiatori trovano in ogni paese quello che ci voglion trovare.

A me quel cielo troppo vasto e particolarmente concavo, verde, consunto e tremante di un’antica e malinconica luce fatta per le macerie, quella sontuosa urbe distesa attraverso il silenzio selvaggio della maremma, quella via Appia orlata di cipressi e avviata verso un orizzonte che sembra segnare il limite della terra, quelle fontane troppo squisite e musicali, quei palazzi, quella andatura indolente, lussuriosa e molle, quell’aria pesante che si affina la sera e ci fa sognare il Mediterraneo, quei crepuscoli estenuati ed immensi avevano riempito il cuore di uno sgomento che gli anni e i ritorni non riuscivano ad acquietare.


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