Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/283


parte seconda. 275

La Dama. Bricconcella! Ciò invero passa il segno!

Un Paggio. Quanto non pagherei per essere al posto del garzoncello!

Il Cortigiano. Chi mai potrebbe dunque sbrigarsi da que’ lacciuoli?

La Dama. La gemma rara e preziosa scorse già per tante mani, che l’oro s’è un tantino smontato.

Un’altra Dama. Fin da’ suoi dieci anni cominciò a valer poco, o nulla.

Un Cavaliere. Pigliasi ognuno il suo meglio a talento; ed io sarei più che soddisfatto del bello che ci rimane.

Un goffo Pedante. Io me la veggo chiara chiara dinanzi agli occhi, e tuttavia oso porre in dubbio che la sia proprio quella. La realtà ha dello strano; e prima d’ogni altra cosa vo’ altenermi a quanto se n’ha dagli scritti. Pertanto io leggo ch’ella fece proprio impazzire dal primo all’ultimo i primi bacalari di Troja, e ciò, ben calcolato, s’altaglia mollo bene alla circostanza. Io sono uscito oggimai di giovinezza, e nondimeno la mi va a sangue.

L’Astrologo. Ei non è più uno sbarbatello! ma da guerriero ardimentoso la stringe; ed ella appena è che valga a schermirsi. Ei la solleva col braccio nerboruto; che abbia dunque in animo di rapirla?

Fausto. Temerario! insensato! E tu l’osi? tu non mi dài ascolto? Fèrmati! è troppo!

Mefistofele. Per altro tu se’ quel desso che dai luogo alla fantasmagoria.

L’Astrologo. In una parola, da tutto ciò che s’ė visto, io intitolo l’intermezzo: Il rapimento di Elena.